Woody Allen (foto LaPresse)

Nessuno osa più gustare le battute del solito Woody Allen

Mariarosa Mancuso

Il regista newyorkese torna al cinema con un film di duetti, divertenti e ben scritti, in cui ci spiega cosa pensa davvero del #metoo

“E’ una storia da raccontare ai nipotini”. Ne è convinta Elle Fanning, un po’ sbronza perché ha mischiato vino e superalcolici (“grain and grape” in originale: distillati di malto e derivati dall’uva devono stare lontani, le aveva insegnato suo padre a Tucson, Arizona). E’ finita dopo varie peripezie nella villa di un attore bello e famoso (“La cosa più favolosa dopo la pillola del giorno dopo”, nel giudizio di un’amica) e da ragazza provinciale ma non idiota immagina che lui se la vorrà portare a letto. Dopo aver riflettuto – peraltro senza conseguenze – sul fatto che ha un fidanzato (o qualcosa di simile) con gli occhietti che le brillano (non solo per l’alcol) se ne esce pregustando la chiacchierata con nipotini. “Ti ho già raccontato quando la nonna è andata a letto con un divo del cinema?”.

 

Meglio di così Woody Allen non poteva fare, per spiegarci cosa pensa davvero del #metoo. E non è l’unico accenno alla faccenda, nel suo ultimo film “Un giorno di pioggia a New York”. Sarà nelle sale italiane dal 28 novembre, la pietra dello scandalo che Amazon ha prodotto e non ha voluto distribuire. Primo screzio relativo a un contratto da 68 milioni di dollari per quattro film (la causa intentata da Allen contro il colosso di Jeff Bezos è stata archiviata qualche giorno fa, i termini dell’accordo sono rimasti segreti). Gli altri dettagli vanno tenuti più segreti del finale tarantiniano di “C’era una volta a Hollywood”, anche senza esplicita raccomandazione del regista. Ci aspettiamo però di leggerli già nei titoli o su Twitter (è buffo che sia i professionisti sia i dilettanti abbiano ormai ridotto il mestiere alle rivelazioni, come se ai tempi di Hitchcock qualcuno avesse scritto: “La mamma di ‘Psyco’ è lui con la parrucca”).

 

Elle Fanning – nel film si chiama Ashleigh – va a Manhattan per intervistare un regista tormentato, uscirà sul giornale della scuola. Il fidanzato Gatsby – Timothée Chalamet, a cui prima o poi perdoneremo la presa di distanze dal regista nei guai – le fa da scorta, offrendole un fine settimana in albergo con vista su Central Park e un giro nella vecchia New York. Ha solo un problema: nascondersi dalla sua famiglia schifosamente ricca. In particolare, da una madre schifosamente colta – chi altri chiamerebbe un figlio Gatsby? – che proprio quel fine settimana dà una grande festa.

 

Molte cose vanno storte, non soltanto il tempo cattivo. Per esempio, entra Selena Gomez, con un trench da film esistenzialista francese. Passeggiare a Central Park sotto la pioggia secondo lei è bronchite sicura, altro che romanticismo. E’ un film di duetti, divertenti e ben scritti. “Il solito Woody Allen”, lamentano certi recensori americani. Può essere, ma non sarebbe un difetto. Il fatto è che nessuno osa più gustare il genere di battute che potevano stare in “Io e Annie” o in “Manhattan”.