18 Regali

La recensione del film di di Francesco Amato, con Benedetta Porcaroli, Vittoria Puccini, Edoardo Leo, Marco Messeri

Mariarosa Mancuso

La vita non copia l’arte, copia la cattiva televisione”. Lo pensava Woody Allen nel 1992, al tempo di “Mariti e mogli”. Era la sua risposta alla domanda-tormentone, ripresa da Paul Thomas Anderson in “Magnolia”, anno 1999 (la vita ancora non si era trasferita sui social). L’infermiere del padre morente chiama il figlio guru, il figlio guru (“Tirate fuori il macho dentro di voi”, per dire l’epoca) lo sbeffeggia: “Son cose che si vedono solo in tv”. “Le fanno vedere in tv perché capitano nella vita”, ribatte l’infermiere. Nel 2003 la regista catalana Isabel Coixet immaginò una madre nei suoi restanti pochi mesi di vita – campava in roulotte, faceva le pulizie – preparava regali e audiocassette per i compleanni per le figlie ancora piccole (siccome “La mia vita senza me” non era un film italiano, la ragazza metteva in lista oltre ai balocchi qualche soddisfazione personale: innamorarsi e fare innamorare). “18 regali” viene da una storia vera, con la collaborazione e la benedizione dei famigliari – ne prendiamo atto, regista e attori lo ripetono considerandolo un valore aggiunto, ma questa pagina parla di cinema: qualcosa per cui uno spettatore deve pagare, uscire di casa, parcheggiare.

 

Anche nel film di Francesco Amato, una madre prepara i regali per la bambina che non vedrà crescere. Fino alla maggiore età, quando la diciassettenne si ribella, scappa di casa, viene investita da un’automobile. E chi scende dall’auto, per constatare i danni? La madre, ovverosia Vittoria Puccini (la figlia cresciuta è Benedetta Porcaroli, dalla serie “Baby”). La madre presta soccorso e si porta la ragazza a casa. L’adolescente si ritrova spaesata, più o meno come lo spettatore. Son fantasmi? E’ uno stato di coma particolarmente fantasioso? Siamo scivolati in un’imitazione italiana del “Sesto senso” di Shyamalan? Gli sceneggiatori all’improvviso si sono accorti che anche una storia vera e strappalacrime ha bisogno di un rinforzo per farsi cinema? Lo spettatore, perplesso, ricorda il film di Isabel Coixet con una fitta di (innominabile, vorremmo eliminare la parola dal dizionario per il decennio a venire) nostalgia.