Cetto c'è, senzadubbiamente

La recensione del film di Giulio Manfredonia, con Antonio Albanese, Nicola Rignanese, Gianfelice Imparato

Mariarosa Mancuso

Si rimane basiti. Senza parole. E ne servirebbero tante, almeno quante ne ha spese in questi giorni Antonio Albanese per accompagnare il suo ultimo film. Forse allo scopo di raddrizzare la comunicazione – diciamo così – istituzionale: trailer e manifesti mostrano l’attore vestito e coronato da sovrano Buffo delle due Calabrie, lasciando credere allo spettatore che dopo l’incoronazione avrà diritto a molti e interessanti sviluppi narrativi (o almeno battute da scompisciarsi, o almeno – è un film italiano, morbidi con le pretese – battute non sentite mille volte). Di sicuro, perché l’attore si sente investito da un superiore destino: mostrare al popolo italiano quanto è bue, sempre pronto a bersi le più assurde promesse elettorali, e del tutto incapace – se ne deriva – di imparare alcunché dalle promesse inevase. Problema grave, molto più dei duecento e rotti formaggi che secondo Charles de Gaulle rendevano difficile il governo della Francia. Tra una domanda e l’altra, nelle interviste, sbuca la nostalgia per il panino con la frittata, nei treni che dal sud salivano a Milano (e a nessuno mai viene in mente che dalla nostalgia per il povero ma sincero panino con la frittata alla nostalgia per il povero ma sincero popolo di una volta il passo è piccolissimo). Servirebbero le parole per dire che il film sovranista e borbonico con Cetto La Qualunque – “’nto u culu a Cavour!” è il brindisi, nonché il grido di battaglia – è desolatamente povero di idee e di scrittura. Per dire che il personaggio funzionava in mezzo ad altre maschere (Epifanio vi ricorda qualcosa? E mai sentito parlare di Alex Drastico?), ma non regge un film intero, sia pure spezzettato in tanti sketch. Per dire che il rampollo La Qualunque, passato alle piste ciclabili e alla legalità, deve far tutto da solo perché gli sceneggiatori lo hanno dimenticato. Ogni volta che entra in scena ribadisce il concetto: figlio perbene di canaglia (sbadiglio). Per dire che le zie sicule nerovestite con lo scialletto le abbiamo già viste un miliardo di volte, e la rivelazione “non sei figlio di tuo padre” viene centellinata al di là di ogni ragionevole pazienza.

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