Quest'anno i premi César saranno una lotta tra due fronti

Mariarosa Mancuso

Quello del ripudiato Roman Polanski e quello del #MeToo

I premi César –- per pigrizia e abitudine: gli Oscar francesi – passano un brutto momento. Tanto da finire sulla copertina di Libération: quotidiano originale nella scelta dei temi, ma si tratta pur sempre di cinema. Per la prima pagina serve lo scandalo che ha investito l’edizione numero 45. La cerimonia di premiazione si terrà il 28 febbraio, alla Salle Pleyel di Parigi. Già i premiatori scarseggiano. Nessun regista, produttore, o attore francese vuol farsi vedere sul palco degli ultimi César governati da Alain Terzian, presidente (padrone, dicono i nemici, pure in conflitto di interessi) in carica dal 2003. Un comunicato dell’Académie che decide i premi ha annunciato giovedì un completo rinnovo. Tre giorni prima, 400 addetti ai lavori avevano scritto una lettera al Monde denunciando vecchiume, manfrine, disfunzioni, un consiglio di amministrazione composto soprattutto da maschi bianchi e moribondi.

 

Sarà divertente vedere la cerimonia. Per esempio, al capitolo “L’ufficiale a la spia” candidato a dodici statuette (orribili, va detto, non si capisce perché gli scultori, quando si dice “premio”, impazziscano all’istante; e nemmeno perché la committenza accetti certi obbrobri). La poca voglia di metterci la faccia, sul palco ancora gestito dal presidente in disgrazia, va a zero se il film da premiare lo ha girato il regista più odiato dalle femministe. Il fronte #MeToo schiera contro Polanski Adèle Haenel, l’attrice di “Ritratto della giovane in fiamme”, regista Céline Sciamma (10 candidature in tutto): nessuna tra le giovani promesse ha vinto più César di lei. Mademoiselle Haenel ha denunciato le molestie subite quando aveva 12 anni (colpevole: Christophe Ruggia, regista del suo primo film, sotto accusa dallo scorso gennaio).

 

Qualsiasi contatto tra i due schieramenti potrebbe essere fatale al buon ordine della manifestazione (già punita da un disastroso calo di ascolti e dall’annunciato boicottaggio femminista). Tra gli altri film in gara – con un bel numero di candidature da mettere a frutto, e ovvio che tra due litiganti il terzo gode – ci sono “Les Misérables” di Ladj Ly e “Belle époque” di Nicolas Bedos. Segno che i giurati un po' sbandati sono, al momento. “Les Misérables (imparentato con il romanzo di Victor Hugo, non con il musical miliardario di Alain Boublil & Claude-Michel Schönberg) è un film contemporaneo, con una bellissima scena iniziale. La “canaglia” arrivata dalla banlieue corre allo stadio per tifare la nazionale francese. Gli attori son tutte facce nuove. “Belle époque” è un film nostalgico, girato alla vecchia maniera, con un’idea iniziale che subito si spegne e un cast formato dai soliti noti. In attesa della goffa cerimonia, un pensiero da fanta-critica attraversa la mente. Potrebbe mai tutto questo capitare ai David di Donatello, che per pigrizia e abitudine consideriamo gli Oscar italiani?