Il film più brutto del 2019

Mariarosa Mancuso

“Non è un film, è una sciagura difficile da dimenticare”. Costato 100 milioni di dollari, e con attori di gran richiamo, “ne ha incassati finora pochini

I film più belli dell’anno li sapete e risapete: “C’era una volta a Hollywood” di Quentin Tarantino, “L’ufficiale e la spia” di Roman Polanski, “Parasite” di Bong Jong-ho, “Un giorno di pioggia a New York” di Woody Allen, “Storia di un matrimonio” di Noah Baumbach (su Netflix, fate prima che al cinema). Manca “Irishman” di Martin Scorsese: dopo molti pizzichi e altrettanti buoni propositi rinnovati annualmente ancora non riusciamo a perdonare i registi che ci annoiano. Un Joe Pesci fantastico non può da solo cancellare una meditazione sulla vecchiaia telefonatissima. Prima ha i denti per masticare il pane speziato. Poi i denti se ne vanno e la pagnottella resta sul tavolo. La tristezza è tanta (nella vita). Dal cinema – e da Martin Scorsese che ha girato “Taxi Driver”, e da un film che ha richiesto anni di lavoro nel reparto effetti speciali – speravamo in qualcosa di più. Parlando della lunghezza, in qualcosa di meno.

  

   

Il film più brutto dell’anno è senz’altro “Cats” di Tom Hooper. La notizia non colpisce come un fulmine a ciel sereno, visto e considerato che il regista era già riuscito a rovinare “Les Misérables”, il premiatissimo musical di Claude-Michel Schönberg e Alain Boublil. Aveva fatto cantare gli attori dal vivo, inquadrandoli in primo piano. E aveva scelto Russell Crowe come Javert: purtroppo la voce non reggeva e il cattivo risultava ridicolo.

  

Pure “Cats” nasce come musical, di Andrew Lloyd Webber. Altrettanto famoso e celebrato, nel West End dove va in scena dal 1981, e a Broadway: tutti abbiamo sentito almeno “Memory”, anche nelle molte parodie che la canzone ha subìto (o attirato, a voi la scelta). Tom Hooper lo aveva visto da piccolo, se n’era innamorato, aveva inseguito il sogno infantile. Con il senno di adesso, una preghiera esaudita (una di quelle che fanno versare più lacrime delle preghiere respinte). Il trailer qualche mese fa aveva provocato orrore e raccapriccio, generando una valanga di frizzi e lazzi. Le critiche sono arrivate ora, e sono perfino peggio. Del tipo: “Non è un film, è una sciagura difficile da dimenticare”. Costato 100 milioni di dollari, e con attori di gran richiamo, “Cats” ne ha incassati finora pochini. Preso atto dei pallettoni e delle raffiche di mitra, la produzione Universal ha rinnegato il film. Facendolo sparire dalla pagina “For Your Consideration”, dove si segnalano ai membri dell’Academy i titoli da avviare all’Oscar.

 

“Digital fur technology” – pelliccia digitale – si chiama la diavoleria che ha ricoperto gli attori di pelo, con risultati imbarazzanti. I poveretti si sono sottoposti a una “cat school”, per imparare a gattonare e miagolare (funzionavano meglio le lezioni di “Pets 2”). Il caro e vecchio T. S. Eliot con le sue filastrocche aveva fatto meraviglie: “Il libro dei gatti tuttofare” è suo. Lezione per il 2020: il troppo realismo produce mostri.

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