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Il problema non è la prescrizione, è la durata dei processi

Massimo Bordin

Pretendere di ottenere che i tempi si adeguino ai ritmi di lavoro di chi deve portarli a termine è pretesa di inconcepibile arroganza

Dopo le riunioni di ieri degli uffici di presidenza delle commissioni Giustizia e Affari Costituzionali della Camera, è possibile che la proposta di blocco della prescrizione dopo la sentenza di primo grado, avanzata in un emendamento del M5s alla legge anti corruzione, slitti in avanti nel tempo. I rapporti fra Lega, molto perplessa sulla proposta, e M5s non ne trarranno giovamento e anche la stabilità del governo ne risentirà. Se si aggiunge a un contenzioso di sostanza sulla manovra economica un altro punto di frizione sulla giustizia, è logico che sia così. La polemica comunque proseguirà.

   

I valorosi pentastellati si battono perché i delinquenti non sfuggano attraverso cavilli alla pena dovuta ma la Lega, succube del Cavaliere vuole bloccarli. Questo il tema che si annuncia. Probabilmente è già in preparazione una adeguata intervista a Piercamillo Davigo sul Fatto. Però sarà difficile essere convincenti perché in realtà la prescrizione scatta per motivi che riguardano molto più l’operato della magistratura che quello dei difensori. Basta citare una statistica: circa i tre quarti delle prescrizioni scattano nella fase delle indagini preliminari, quando l’avvocato difensore non ha praticamente modo di intervenire, e una volta incardinato il processo, il codice parla chiaro: le interruzioni del processo causate da istanze della difesa sospendono i tempi della prescrizione. In parole povere la questione nasce dai tempi e modi di lavoro dei magistrati. Pretendere di ottenere che i tempi dei processi si adeguino ai ritmi di lavoro di chi deve portarli a termine è pretesa di inconcepibile arroganza, inammissibile per qualsiasi altra categoria. In fondo la questione è questa.

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