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Il M5s insiste sulla riforma della prescrizione, la Lega non ci sente. Di che cosa stiamo parlando?

Annalisa Chirico

Perché l'abolizione della prescrizione metterebbe in difficoltà la giustizia italiana e diventerebbe un premio alla negligenza e all’inefficienza

[Aggiornamento del 5 novembre 2018, ore 20.00 Ancora una giornata di tensione tra Lega e M5s sul tema della prescrizione. I 5 Stelle, dopo le polemiche dei giorni scorsi, hanno deciso di ritirare e ripresentare l'emendamento della relatrice Francesca Businarolo al ddl anticorruzione. Una scelta esclusivamente “formale” visto che la sostanza della proposta di modifica è rimasta invariata. Nel testo riformulato, infatti, viene semplicemente chiesto di modificare anche il titolo del provvedimento aggiungendo, dopo “pubblica amministrazione”, la dicitura “nonché in materia di prescrizione del reato”. In questo modo i 5 Stelle speravano di superare le obiezioni della Lega che, sul tema, chiede di fare una legge ad hoc. Ma il tentativo non è andato a buon fine. “Il nuovo emendamento è uguale a quello di prima. Per noi bisogna fare un'altra legge sulla prescrizione” ha commentato il capogruppo del Carroccio in commissione Affari Costituzionali, Igor Iezzi. Contrarie, ovviamente, le opposizioni. Che hanno anche protestato perché governo e relatori non hanno presentato i pareri sull'ammissibiltà degli emendamenti. Tema che verrà affrontato in commissione domattina. Intanto Matteo Salvini commenta: “Riforma della giustizia, e anche della prescrizione, sono nel contratto di governo e diventeranno realtà: mettere in galera mafiosi e corrotti è una priorità della Lega. L'importante è farle bene queste riforme, evitando che i processi durino all'infinito anche per gli innocenti, altrimenti è una sconfitta per tutti”]. 

 


 

Roma. Con il passare delle settimane è sotto gli occhi di tutti come, all’interno del governo gialloverde, le divergenze prevalgano sulle convergenze, e intorno al dossier giustizia si stia consumando un duello tra leghisti e pentastellati che potrebbe lasciare sul campo una vittima illustre: il diritto dei cittadini al giusto processo.

 

“Lo prevede il contratto”, tuona il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede difendendo la sua proposta di riforma della prescrizione. Leggendolo bene, però, si scopre che il contratto evoca una vaga riforma della prescrizione ma non accenna allo scempio annunciato. L’abolizione della prescrizione dopo il primo grado di giudizio è un atto che tradisce la sostanziale insipienza dei governanti. Nel paese con i processi tra i più lunghi d’Europa il Guardasigilli propone una controriforma che funzionerebbe all’incirca così: condannato o assolto, sarai perseguibile usque ad mortem. Il processo infinito al posto del processo lento, con il risultato che i criminali, da presunti innocenti, continueranno a delinquere indisturbati mentre le vittime, per ottenere i risarcimenti, dovranno attendere la sentenza definitiva, chissà quando. Questa è la giustizia a 5 Stelle.

 

La Lega di Matteo Salvini fa muro, il ministro Giulia Bongiorno parla di “bomba nucleare sui processi”, ma il braccio di ferro sul ddl anticorruzione è dall’esito incerto. Basterebbe un filo di dimestichezza con le cose tribunalizie (eppure Bonafede è avvocato) per sapere che quasi il settanta per cento delle prescrizioni matura nella fase delle indagini preliminari quando il ruolo del difensore è nullo mentre il pm è il vero dominus. Non è colpa dei magistrati se l’Italia è l’unico paese al mondo dove il processo penale di tipo accusatorio prevede l’obbligo dell’azione penale: dovendo fronteggiare migliaia di procedimenti, i togati decidono discrezionalmente quali fascicoli far avanzare e quali no. Piuttosto l’esistenza della prescrizione è uno stimolo a fissare udienze ravvicinate: la sua abolizione diventerebbe l’alibi perfetto per prendersela comoda, un premio alla negligenza e all’inefficienza.

 

I processi elefantiaci sono un fardello per il nostro paese, e un governo responsabile dovrebbe intervenire in modo incisivo e riformatore. Per sveltire i procedimenti in conformità con il principio costituzionale della ragionevole durata ex art. 111, si potrebbe partire da tre azioni mirate.

 

Innanzitutto, il conteggio dei termini dovrebbe iniziare non dal tempus commissi delicti, ovvero dal momento in cui il delitto viene commesso, ma dall’esercizio dell’azione penale.

 

In secondo luogo, come non smettono di sollecitare magistrati pure diversi per estrazione ideologica come Edmondo Bruti Liberati e Carlo Nordio, è necessario proseguire sul fronte delle depenalizzazioni per i reati minori, che ingolfano inutilmente gli uffici giudiziari, e incentivare il ricorso ai riti alternativi. Purtroppo in questa materia il famigerato “contratto di governo” prevede l’esatto opposto, e dunque anche qui toccherà confidare nell’anima garantista della Lega. Siamo l’unico paese dove chi accetta volontariamente il patteggiamento (ottenendo lo sconto fino a un terzo della pena) ha la facoltà di ricorrere in Cassazione, con un’inevitabile dilatazione dei tempi: è un assurdo logico ancor prima che giuridico. Il patteggiamento esiste pure negli Stati Uniti dove però, in caso di condanna, nella valutazione dell’entità della pena il giudice tiene in considerazione anche l’eventuale rifiuto del colpevole a patteggiare.

 

In terzo luogo si dovrebbe discutere laicamente dell’opportunità di intervenire sul fronte delle impugnazioni, in particolare sul ricorso per Cassazione al fine di evitarne un uso dilatorio. La Corte Suprema statunitense affronta circa 80 casi l’anno: è sufficiente che quattro giudici si oppongano discrezionalmente alla revisione di un fascicolo per negarla definitivamente (il cosiddetto denial of certiorari). Requisiti di accesso più stringenti per il giudizio di legittimità in Cassazione sarebbero un disincentivo per le impugnazioni puramente dilatorie. Una discussione aperta e informata su questi tre elementi segnerebbe già un cambio di passo. Urgente più che necessario.

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