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Codice riformato e depenalizzazioni. Che ne dice il Fatto?

Massimo Bordin

Note a margine dell'articolo di Peter Gomez sulla prescrizione

Ieri sulla prescrizione il Fatto ha pubblicato due articoli uno dei quali merita un approfondimento. Peter Gomez ha intelligentemente evitato di compiacere un sentire diffuso fra i lettori del suo giornale e non ha imputato il fenomeno, che è comunque meno esteso di quanto chi legge i giornali sia indotto a credere, alle attività dilatorie dei difensori degli imputati. Peraltro la melina difensiva con le leggi attuali è praticamente impossibile. Gomez addebita il problema al numero spropositato dei processi che si celebrano e alla riforma che ha modificato il rito processuale da inquisitorio ad accusatorio. La relazione fra le due questioni non è banale e offre lo spunto per un dibattito razionale e non urlato. Troppi processi? Giusto, anzi sacrosanto. Si tratta di un fenomeno che alcuni giuristi e molti sociologi chiamano da qualche decennio pan-penalizzazione. In parole povere molte controversie che potrebbero essere risolte in altre sedi intasano le cancellerie dei tribunali penali. La soluzione dovrebbe essere un’ondata di depenalizzazioni. Difficile credere che al Fatto approverebbero. Quanto al codice riformato, Gomez nota che se la prova deve formarsi in dibattimento, il lavoro di indagine dei pm si duplica e questo allunga i tempi, pur migliorando le garanzie. Verissimo, ma va pure notato che se il 70 per cento delle prescrizioni matura nella fase delle indagini quando la duplicazione non si è ancora verificata, è difficile definirla la causa principale. Il tema però è importante perché un bilancio della riforma andrebbe fatto, considerato che risale al 1987 ma pur essendo passati trent’anni se ne discute ancora come se l’avessero approvata l’anno scorso.

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