I nuovi mostri dei talk-show
Per un’antologia dell’esperimento populista in corso, basterebbe sbobinare i dibattiti televisivi
Mentre Salvini cavalca le ruspe, canta “Albachiara” da Costanzo, immagina nuovi schemi per il Milan o presenta l’ultimo libro di Lilli Gruber sulle trame oscure della guerra fredda in Sudtirolo, si serrano, nel gran marasma televisivo, le file del nuovo think tank di governo. È in effetti strabiliante e prodigioso vedere come la Terza Repubblica abbia condotto lo spettacolo dei talk-show alle sue fatali, estreme conseguenze: trumpiani, putiniani, sovranisti, no euro, avanzi della Prima Repubblica, complottisti, ex socialisti riciclati in chiave anti-élite, filosofi anticasta, montanari, antieuropeisti, eurocritici, euroscettici, eurofobici, seguaci di Paolo Savona, adepti del deficit e del “piano B”, variante economica del “piano solo” di Giovanni De Lorenzo.
Tutti insieme per dare voce al malessere della gente, anche se il malessere della gente è diventato establishment, anche se in piazza ormai ci vanno solo le “madamine” o il circolo canottieri Lazio. I talk-show come zona di confine e terreno di innesti. I talk-show come porte girevoli da cui si esce giustizialisti e si rientra garantisti anche nell’arco della stessa puntata, perché ormai è tutto fluido dotto’, non c’è più la destra e la sinistra. I talk-show come terza camera iperbarica dove sperimentare la tenuta di cazzate sesquipedali su spread, pil, debito, immigrazione, reddito di cittadinanza, condoni, manovre, pensioni, quota cento, un’altra idea di Europa, naturalmente un’ Europa più vicina alla gente. La galleria televisiva non è mai stata così ricca di personaggi vecchi, nuovi o nuovissimi che ora si ritrovano catapultati dentro scenari inediti, magari a fare i “barbari” dopo una vita passata nei salotti, o viceversa.
In questa fase di grande rimpasto, i talk-show ci proiettano dentro scenari degni della celebre taverna di “Guerre stellari”, la famigerata cantina di “Mos Eisley” dove atterrano, con buona pace di Michela Murgia, Luke Skywalker, Chewbecca e Han Solo, una zona franca del pianeta desertico, “Tatooine”, il più anarchico della galassia, rifugio e approdo di replicanti, alieni reietti, androidi, cacciatori di taglie, dove tutti sono in transito o in fuga, dove non si sa mai chi puoi incontrare, ma è sempre bene guardarsi le spalle. C’è la factory immarcescibile di Travaglio, c’è il cattivissimo Davigo, c’è Scanzi al bancone che discute di spread con J-Ax, ci sono Corona il montanaro e Fusaro l’hegeliano, c’è la “tipografia segreta” di Laura Castelli e Di Maio, c’è l’urlatore Mario Giordano che in una puntata di “Fuori dal coro” riesce a dire circa sedici volte di seguito “ruspeee!” con gli occhi di fuori, come in trance, per raccontarci lo sgombero del centro Baobab a Roma. C’è infine il variopinto ma ormai consolidatissimo blocco delle new entry: Maria Giovanna Maglie e il formidabile professor Antonio Maria Rinaldi, economista, che in realtà tanto nuovi non sarebbero, visto che provengono pur sempre dai pianeti implosi della Prima Repubblica, però ora stanno lì in quota “vento del cambiamento”.
Trasmissioni come porte girevoli da cui si esce giustizialisti e si rientra garantisti anche nell’arco della stessa puntata
Mai fino ad ora si era sperimentata un’amalgama così convincente tra l’antica vocazione strapaesana, il risentimento della patria offesa dall’euro e la sempiterna tentazione nichilista del pensatoio italiano. Ai novissimi sovranisti si affiancano i gran borghesi delle élite, team Paolo Savona, tutti in estasi, tutti presi dallo spettacolo fantasmagorico dello sfascio, del debito a oltranza e della guerra alla casta, sola igiene del mondo. “Guardate che in Italia c’è una situazione che voi non ve rendete conto”, spiega Antonio Maria Rinaldi ospite a “DiMartedì”. Rinaldi si agita, scuote il ciuffo, cerca lo sguardo complice di Floris, Floris annuisce, il pubblico applaude.
Nella sua formidabile imitazione del “Califfo”, Max Tortora aveva già anticipato e fissato i tratti del nuovo, indiscusso protagonista della scena dei talk col suo stile ormai inconfondibile, fino a sfiorare la piena sovrapposizione: “E’ brutto che Berlusconi sia oggi contro il reddito di cittadinanza”, spiega il Professor Rinaldi ospite a “Coffee Break”, “perché vor di’ che s’è rincojonito”. “Dopo anni e anni di aspettative infrante, gli italiani vogliono un cambiamento, perché le nostre aspettative si sono, diciamo, infrante”, rimarca Rinaldi nel suo italiano romano bonario, un intercalare che serve come scorciatoia per arrivare alla gente, per arrivare al “dunque”, anche se pur sempre il “dunque” dei talk-show italiani, quindi senza nulla di pragmatico, senza neanche lambire le cose, i fatti.
Nessun bagaglino si sarebbe spinto dalle parti della conversazione in salsa Ionesco tra Laura Castelli e Lilli Gruber
Nell’ultimo mese (come riportava TvBlog con dati aggiornati al 22 novembre). Rinaldi è stato in tv ventisei volte, coprendo grossomodo tutto l’arco del palinsesto dei talk politici, con una media di apparizioni praticamente giornaliera che lo colloca dalle parti dei concorrenti di un reality o della compagnia di giro di “Uomini e donne”. Ospite a “Stasera, Italia”, nel mezzo del confronto, Rinaldi si alza di botto e si infila un giubbetto catarifrangente in segno di solidarietà con i “Gilets Jeunes”. Rinaldi all’assalto sugli Champs-Élysées mentre Palombelli lo riprende e dice: “Va bene, ma adesso basta, perché domani mattina potremmo avere un grosso guaio finanziario”, tipo Juncker che guarda Rete 4 e si domanda se noi italiani siamo veramente così pericolosi come sembra o soltanto i soliti cazzoni che buttano tutto in caciara.
Più la televisione fatica a stare dietro alla velocità supersonica della politica dei tweet e dei post, più nei talk si ripiega verso l’armamentario stilistico e dialettico del teatro d’improvvisazione. Teatro dell’assurdo, naturalmente. Teatrali sono i monologhi in falsetto di Mario Giordano, teatrali sono gli affondi di Rinaldi che peraltro, sin dal nome, riporta alla mente i personaggi delle migliori commedie scritte da Sonego per Sordi (come l’indimenticabile Giovan Maria Catalan Belmonte, ultra dandy della movida notturna romana che se ne va a spasso con la Rolls nei “Nuovi mostri”). Così, per quelle formidabili coincidenze e simmetrie di cui abbonda la nostra cronaca politica (le due colpe dei due padri che ricadono sui due figli, i due Matteo che entrano in sintonia col paese), Dagospia ha tirato fuori la fotografia di un giovane Rinaldi al volante di una splendida Lancia Aurelia Spider, nel 1990.
È però nei video del canale “Byoblu”, un blog gestito da Claudio Messora, consulente per la comunicazione del Movimento Cinque Stelle, che Rinaldi sfodera la sua vena più neorealista, radicaleggiante e vicina alla “ggente”: in piedi, in mezzo a un parcheggio con palazzina romana sullo fondo, attacca a muso duro le élite europee: “E’ arrivato il momento di tirare fuori le palle, di fare veramente gli interessi di questo paese; secondo me l’Europa stavolta s’è incartata di brutto e qualsiasi cosa succederà hanno già perso, perché noi ci riprendiamo le chiavi di casa”. “Facciamo vedere a ‘sti nazisti di Bruxelles chi sono i veri ITALIANI”, scrivono i fan nei commenti sotto al video, “viva l’Italia e gli italiani, il popolo migliore che c’è”. Invisibili sullo sfondo, si agitano gli spettri di Dombrovskis e Moscovici, incarnazione dell’eterno oppressore, lacchè dei torvi imperi che offendono il patrio suolo.
Arrivare al “dunque”, nei talk-show italiani, è un invito che fanno tutti, però non porta mai nemmeno a lambire le cose, i fatti
Quando non litiga nei talk, Rinaldi risponde ai detrattori. E’ ormai epica la querelle con Aldo Grasso che lo aveva definito “la vanità fatta persona”, uno che “ripudia i commissari della Troika e i detrattori del famoso piano B. Esecra il fiscal compact, il trattato di Maastricht e l’austerity” e che “con il suo maestro Paolo Savona dice di aver concepito un progetto per il consolidamento del debito pubblico italiano”. Rinaldi ha risposto con un lungo articolo pubblicato sull’organo del “piano B”, “Scenari economici”, ricordando il crollo di vendite del Corriere, assumendo il punto di vista “della gente”, e spiegando infine ad Aldo Grasso che “per quanto si sforzerà non riuscirà mai a fermare il vento con le mani”, o con le mano, perché ormai ‘sto vento “soffia sempre più forte in ogni angolo di questa Europa”.
Ma infondo perché prendersela con Rinaldi e la sua onnipresenza in tv? Se ci va vuol dire che lo chiamano, che funziona, che serve. Con Rinaldi si ritorna infatti ai beati anni delle risse televisive, a uno stile che richiama persino certe pose di Funari; si torna al gesto plateale, ormai preda del sempre più inarrivabile Vittorio Sgarbi che a “Cartabianca” si mette a imitare la vocina di Giordano in un fuorionda in cui gli dà del “castrato di merda”, tanto per completare il quadretto da comédie italienne. E poi in Tv ci va spesso anche Mario Monti. Solo che lì c’è una spiegazione e la spiegazione non è lo share. “Le élite che hanno forgiato l’Europa” dice Belpietro, “non sanno più come affrontare il cambiamento” e “dietro l’onnipresenza di Mario Monti nei talk-show potrebbero esserci i Poteri Forti”. Poteri forti che da sempre si occupano naturalmente del palinsesto italiano e se mandano Monti in tv è per preparaci lentamente a un nuovo golpe bancario. Tutto torna.
“Erano 25 anni che non votavo, il governo Lega-M5s è un buon compromesso”, dice invece Maria Giovanna Maglie, di antica ascendenza socialista ma trumpiana della prima ora. Maglie è contro il primato di numeri, numeretti, regole e regoline e a “Omnibus” spiega una nuova strategia per il deficit: “Stiamo a ragionare di due punto due, due punto tre, due punto quattro, ma io avrei fatto una manovra più espansiva, avrei rovesciato i termini, avrei fatto quattro punto due, tanto le reazioni sarebbero state le stesse”. Probabile. Specie dopo che ci hanno visto festeggiare sul balcone per la manovra più bella del mondo. Ci sono poi tutte le possibili variazioni attorno alla figura dell’economista in tv, ormai punto di riferimento imprescindibile, come un tempo lo erano l’estetologo Zecchi o lo psicanalista Crepet: l’economista istituzionale, moderato, ragionevole, quello delle “élite dal volto umano” incarnate da Cottarelli ospite fisso da Fazio; i calembour di Antonio Maria Rinaldi a braccio sull’euro per un’economia che parla alla ggente; il puntiglioso Riccardo Puglisi che sciorina numeri in collegamento a “Otto e mezzo”.
Poteri forti che si occupano del palinsesto italiano e mandano Monti in tv per prepararci a un nuovo golpe bancario (come no)
Se non fosse per il serio pericolo di sudamericanizzazione, bisognerebbe in effetti abbandonarsi al flusso disordinato delle nuove idee, bisognerebbe ammettere che siamo nel mezzo di una delle più straordinarie, elettrizzanti, surrealistiche fasi della politica televisiva italiana, ormai definitivamente liberata dalla satira e dalla parodia, entrambe impotenti di fronte alla potenza dello spettacolo. Nessun bagaglino si sarebbe spinto dalle parti della conversazione in salsa Ionesco tra Laura Castelli e Lilli Gruber sulla stampa dei “cinque o sei milioni” di tessere elettroniche per erogare il reddito di cittadinanza, conversazione che per oltre sessanta, interminabili secondi ruota attorno a un buco nero: “Chi le sta stampando?”. “Forse il poligrafico dello Stato”, dice Castelli, tentennando, molto poco convinta della risposta e meno ancora della domanda, ma garantendoci però che in ogni caso si tratta di un progetto “molto innovativo perché usa la digitalizzazione”. Apposto. E chi avrebbe mai immaginato che dopo la triste pagina della lettera contro il commissario Luigi Calabresi sarebbe arrivata, quasi mezzo secolo dopo, pure la querela di Giggino Di Maio.
Le cialtronate viaggiano ormai a un ritmo forsennato. Difficile o impossibile tenere il passo. Però proprio qui sta il trucco, proprio qui si cela il segreto della comunicazione politica di ultima generazione (soprattutto a cinque stelle, ma non solo). Spararne tante, spararle una dietro l’altra, sempre più roboanti, così che l’ultima arrivata faccia subito dimenticare quella precedente. Dunque, pur sempre una tattica di rimozione. Prese una per una sono infatti solo degli scivoloni, magari orribili, ma non riescono a restituire il senso del grande disegno di cui sono parte. Invece, messe in fila una dietro l’altra, in un arco teso che va almeno dal Venezuela di Pinochet alla querela del commissario Calabresi, diventano un progetto politico chiaro, lucido, coerente. Bisognerebbe organizzare dei reading. Bisognerebbe leggerle tutte, con enfatiche pause di silenzio tra l’una e l’altra, come coi nomi dei migranti morti dal 1993 a oggi, declamati per quattro ore di seguito da Gipi alla Festa di Internazionale, solo che qui servirebbe più tempo. Una scintillante antologia di cazzate, gaffe, sfondoni, cialtronate, messe tutte in fila per dare il senso e restituirci appieno la portata tragicomica di questo interminabile esperimento populista.
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