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La Lega pensa a un governo di unità nazionale per fronteggiare la recessione post coronavirus

Salvatore Merlo

“Servono i responsabili. Ma non quelli per Conte”, dice Giorgetti. Tattica e seri rischi economici: lo schema per cambiare governo ed eliminare il presidente del Consiglio. C’entra Renzi

Roma. “Servono i responsabili, ma quelli veri. Non quelli per Conte”, dice Giancarlo Giorgetti, l’architetto di retrovia di Salvini. E qualcosa sta per cambiare nella strategia della Lega ai tempi del coronavirus, mentre il Capitano alterna randellate social al governo e però lascia che Giorgetti tessa la sua trama più o meno liberamente: la proposta di un governo di unità nazionale, per fronteggiare la prevedibile recessione, è dietro l’angolo. Passa dalla sostituzione di Conte, complice Renzi. Anche se Salvini tentenna, usando il “no” di Giorgia Meloni forse come alibi.

   

“Adesso gli diamo una mano sul decreto Coronavirus, e poi si vede”, dice Edoardo Rixi, uno dei colonnelli del salvinismo, riferendosi alle misure – compresi gli aiuti economici alle zone colpite dall’epidemia – che arrivano in Parlamento giovedì. E Massimo Garavaglia, l’ex viceministro, lombardo e ragionevole, di fronte al rischio di recessione che si spalanca all’orizzonte per effetto di un virus, il Covid-19, che si abbatte sull’economia già debilitata d’Italia: “Noi le nostre proposte per fronteggiare l’emergenza le abbiamo fatte. Adesso serve un governo che le attui. Ma finché il governo è guidato da un inetto non si può fare nulla… cambino governo e se ne parla”. Ecco. Più chiaro di così. È Giuseppe Conte l’obiettivo della Lega, che lo ha ribattezzato “Cadorna”, dal nome del famigerato generale della disfatta di Caporetto. E forse il presidente del Consiglio se n’è accorto di essere nel mirino, non solo dei leghisti ma anche – da tempo – di una parte della maggioranza, cioè di Matteo Renzi, che negli ultimi giorni condivide forse non a caso con Salvini l’idea di trasformare il virologo Roberto Burioni in una specie di Guido Bertolaso dell’emergenza Coronavirus. Burioni è diventato una sorta di metafora – “maggioranza Burioni”, come un tempo si diceva “maggioranza Ursula” – che contiene in sé la suggestione di un cambio di governo e di un rimescolamento delle carte nella maggioranza. Il governo di unità nazionale? Giorgetti ne parla da mesi. Renzi pure. Si tratta di una trama forse evanescente, a cui tuttavia viene attribuita una qualche consistenza se è vero – come dicono alcuni a Palazzo Chigi – che le critiche rivolte da Conte alla gestione lombarda, dunque leghista, dell’epidemia, con l’accusa rivolta all’ospedale di Codogno, siano state un modo un po’ scomposto – criticato persino da Dario Franceschini – per reagire all’offensiva di Salvini e forse addirittura di Renzi. Una meccanica che si è ripetuta ancora ieri pomeriggio, nella riunione d’emergenza tra regioni e governo, con il presidente leghista della Lombardia Attilio Fontana che, prima di essere recuperato dal ministro della Difesa Lorenzo Guerini, abbandonava la riunione sbattendo la porta, dando del “cialtrone” al presidente del Consiglio, mentre Luca Zaia, suo collega di partito e presidente del Veneto, rimaneva invece tranquillo al suo posto ottenendo alcuni provvedimenti essenziali per il tessuto imprenditoriale veneto e segnalando forse anche una distanza personale dalla strategia politica di Salvini. Chissà.

 

Giorgetti, e non è l’unico nella Lega, sostiene che di fronte alla vera emergenza, che sarà economica e non virale, la Lega dovrebbe proporre il famoso governo di unità nazionale. Se la risposta del centrosinistra fosse compattamente negativa, amen, “sarebbe chiaro che sono degli irresponsabili”. Se qualcuno invece dicesse di sì (Renzi?), ecco che la palla della discordia rotolerebbe nel campo dell’attuale maggioranza. “Servono i responsabili”, ripeteva allora ieri Giorgetti. “Quelli veri. Non quelli per Conte”. Ma è Salvini a non aver ancora deciso. E’ il Capo che tentenna. Non è convinto, non si fida e ai suoi ripete all’incirca queste parole: “Non posso fare una proposta del genere. La Meloni non ci starebbe. E ci romperebbe l’anima da destra accusandoci di inciucio”. In effetti Meloni gli avrebbe detto “manco morta”. Al che Giorgetti si mette a spiegare il paradosso di un premier dimezzato, di una figura indebolita anche nel racconto che in queste ore stanno facendo i giornali e le televisioni internazionali come l’americana Cnn, ma che pure si trova blindato perché “in tempi di emergenza non ci sono elezioni”. E la Lega che fa? Ancora due anni di opposizione, e dicendo cosa? L’argomento potrebbe anche far breccia su un impaziente come Salvini. Ma lo si scoprirà presto.

  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi erasmiana a Nottingham. Un tirocinio in epoca universitaria al Corriere del Mezzogiorno (redazione di Bari), ho collaborato con Radiotre, Panorama e Raiuno. Lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.