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Il virus è più pericoloso per chi è più debilitato. Vale pure per l'economia

Luciano Capone

Le misure di contenimento dell’epidemia impattano per almeno -0,1 punti di pil. Il costo economico e i peccati originali

Roma. Le crisi, come i virus, non colpiscono tutti allo stesso modo. Sono molto più dannose e complicate se chi viene colpito è già acciaccato o in condizioni precarie. Da questo punto di vista, l’arrivo del coronavirus può avere effetti più seri sull’economia italiana, che è convalescente da tempo e non ha approfittato a sufficienza di questi anni di tranquillità per rimettersi in sesto. Non tanto per i problemi del sistema bancario, che ha fatto uno sforzo notevole di consolidamento e di riduzione dei Non performing loan, ma per quelli di finanza pubblica caratterizzati da un pil stagnante, da una leggera erosione dell’avanzo primario e da un debito pubblico elevato e crescente. In questo contesto l’arrivo del coronavirus e le relative misure di emergenza e contenimento dell’epidemia non faranno che aggravare il quadro clinico dell’economia italiana.

 

Dalle prime previsioni di alcuni analisti, come Nicola Nobile di Oxford Economis, il virus avrà un impatto negativo di 0,1 punti di pil nel primo trimestre. Ma si tratta di stime molto conservative, che considerano l’applicazione delle misure di emergenza per una sola settimana e in sole quattro province della Lombardia (Pavia, Lodi, Cremona e Milano) che complessivamente rappresentano il 12 per cento del pil nazionale. Ma vanno considerati altri fattori di rischio, come una crisi di fiducia di famiglie e imprese e uno choc sulle supply chain e quindi sulla produzione. La crescita negativa nel primo trimestre del 2020 farebbe seguito all’ultimo trimestre del 2019 che si è chiuso con un -0,3 per cento, e potrebbe indicare un anno che molto probabilmente sarà in recessione. Davvero un brutto segnale per l’Italia, che sarebbe così l’unico paese in Europa in decrescita.

 

Questo scenario, che si fa sempre più concreto, naturalmente sballa il quadro di finanza pubblica redatto dal ministro dell’Economia Roberto Gualtieri, che si basa su una crescita dello 0,6 per cento e prevede un deficit costante al 2,2 e il debito pubblico in calo dal 135,7 al 135,2 per cento. Con una crescita zero o addirittura negativa – le stime della Commissione europea e dell’Ufficio parlamentare di Bilancio prevedevano una crescita dello 0,2-0,3 per cento, ma prima del coronavirus e senza considerarne gli effetti globali negativi – i conti della Nadef e della legge di Bilancio non tornano: con un pil nominale, a causa di un’inflazione molto più bassa di quella auspicata dal Mef, il deficit sarà del 2,7 per cento e il debito pubblico supererà il 136 per cento. Questo sbilanciamento dei conti non significa che nei prossimi mesi sarà necessaria una manovra correttiva – come quella fatta lo scorso anno dal governo gialloverde ad aprile – perché con un’economia che si avvia verso la recessione potrebbe aggravare i problemi. E non è detto che sarebbe la Commissione europea a pretenderla, anche perché – a differenza di ciò che stancamente si ripete di continuo – le regole europee non sono affatto “stupide” e consentono margini di flessibilità in caso di emergenze ed eventi straordinari, che peraltro sono stati ampiamente concessi all’Italia nel corso degli anni (per crisi dei migranti, riforme, terremoti, dissesto idrogeologico, crollo del ponte Morandi).

 

Il problema non sarà quindi Bruxelles, ma come i mercati accoglieranno un debito in crescita che va finanziato e un paese che rischia di entrare di nuovo in fibrillazione politica. A questo va aggiunto che la politica fiscale espansiva può sostenere la domanda e i costi per affrontare l’emergenza, ma non può fare molto se l’epidemia produce uno choc dal lato dell’offerta. Se nuovi focolai in giro per il mondo a loro volta producono quarantene, chiusure delle frontiere, interruzione degli scambi e rottura delle catene del valore mondiali, la politica fiscale non potrà fare nulla per incrementare la produzione. “Le misure anti virus mirano al nucleo dell’organizzazione economica: la divisione del lavoro”, ha scritto l’economista Olivier Blanchard, così “anche se il costo delle morti sarà limitato, il costo economico potrebbe essere elevato”.

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali