Personale ospedaliero a Codogno (foto LaPresse/Luca Bruno)

Antidoti contro il contagio della paura

Claudio Cerasa

I casi di coronavirus in Italia e poi le città in quarantena. Governare le paure non è semplice ma accanto al panico c’è anche una svolta: la riscossa delle competenze e la fine della democrazia dei creduloni. Spunti per una stagione anti post verità

Fidarsi. Sono passati da pochi minuti le undici quando il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, collegato da Bruxelles con le agenzie di stampa, usa forse involontariamente un verbo che ci aiuta a fare un passo in avanti rispetto alle preoccupanti notizie di ieri. Le notizie sono quelle che conoscete tutti e sono quelle relative ai casi di contagio da nuovo coronavirus, molti dei quali registrati a Codogno, in provincia di Lodi, in Lombardia – dove un uomo di 38 anni, che ha contratto il virus da una persona tornata dalla Cina, trasferendolo poi a sua moglie incinta di otto mesi, da ieri è ricoverato in terapia intensiva nell’ospedale della sua città, dove il comune ha disposto la chiusura di bar, locali pubblici e uffici comunali fino a domenica (nel lodigiano ci sono 50 mila persone in isolamento).

 

Governare il panico, quando c’è una pandemia che per di più viene raccontata per la prima volta nella storia in diretta social, non è semplice e vedere un comune europeo che all’improvviso si ritrova in una sostanziale quarantena, come se fosse in Cina, non aiuta a dominare le emozioni. Eppure la progressiva diffusione del coronavirus sta portando via con sé non solo una serie di incontrollate paure ma anche una serie di sorprendenti speranze che riguardano quella che è forse la novità più importante della fase storica che stiamo vivendo in questi giorni.

 

Fidarsi. “Il governo – ha detto ieri Conte – sta utilizzando la massima precauzione possibile e questo ci consente di scacciare via ogni allarmismo sociale e ogni forma di panico: dovete fidarvi di quelle che sono le indicazioni ufficiali”. Fidarsi. Il tempo ci dirà, rispetto al lato dell’offerta del governo, se le precauzioni adottate sono state sufficienti a limitare davvero gli effetti della pandemia. Ma ciò che si può dire, rispetto al lato della domanda, quella degli elettori, è che mai come in questa fase stanno tornando di moda una serie di princìpi – non ci permettiamo di dire valori – che negli ultimi tempi erano stati villanamente spazzati via dalle ruspe guidate dai molti teorici della democrazia dei creduloni.

 

Il nuovo coronavirus, nell’attesa di capire che altri danni produrrà, ha avuto l’effetto di far riaffiorare una serie di verità che in parte si erano andate a esaurire nella cupa stagione dell’uno vale uno e della post verità.

 

E allora no: una democrazia liberale non vale come una democrazia illiberale, perché quando l’informazione è libera i cittadini si sentono più protetti, si sentono più sicuri, si sentono più consapevoli di quello che sta accadendo, e pazienza poi se i regimi autoritari riescono a costruire ospedali a una velocità superiore rispetto ai paesi liberi: è meglio fare un ospedale in dieci giorni e avere strumenti per nascondere un problema sanitario o è meglio fare un ospedale in due anni e non avere strumenti per nascondere un problema?

 

E allora no: un competente non vale come un incompetente, perché quando ci sono in ballo le nostre vite è più facile capire che uno scienziato non vale come un blogger, che un esperto non vale come un non-esperto e che i libri di medicina non valgono come i forum del dark web.

  

E allora no: un antivaccinista non vale come un vaccinista perché, per quanto possa essere alta la tentazione di fare un po’ di ascolti invitando in prima serata qualche citrullo negazionista convinto che il coronavirus sia un complotto dell’America o una conseguenza della tecnologia 5G, oggi antivaccinisti e vaccinisti sono tutti lì a vaccinarsi contro l’influenza – i vaccini anti influenzali hanno registrato rispetto allo stesso periodo del 2019 un aumento del 20 per cento nelle prime settimane del 2020 – e sono tutti lì a compulsare quotidianamente i siti internet, a seguire di nascosto i tweet di Roberto Burioni, a leggere le note di Roberto Speranza come se fossero i dieci comandamenti, nella speranza – s minuscola – che qualche paese possa annunciare di aver finalmente trovato un mezzo vaccino per difenderci dal coronavirus.

 

Piero Calamandrei diceva che la libertà è come l’aria e che spesso ci si accorge del valore di quello che si ha solo quando ci viene a mancare. Il coronavirus, in Italia ma non solo, in un certo senso sta avendo lo stesso effetto, sta spazzando via dalle nostre vite la dottrina dei creduloni e ci sta ricordando che i pilastri della nostra libertà in fondo sono anche i pilastri della nostra salute – speriamo solo siano in buone mani.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.