Esportare il modello Bonaccini

Claudio Cerasa

La storia di un termovalorizzatore del Lazio spiega lo psicodramma sui rifiuti di M5s, Pd e Lega (e Raggi)

La storia che vi stiamo per raccontare riguarda apparentemente solo una piccola città del Lazio ma in realtà è una storia al centro della quale vi sono alcuni grandi temi che hanno a che fare con il futuro dell’Italia, con la natura del Partito democratico, con il destino del Movimento 5 stelle, con l’impostura di Matteo Salvini e con un modello insieme politico ed economico, quello dell’Emilia-Romagna, che gli antagonisti della Lega dovrebbero prendere a esempio non solo per questioni puramente elettorali.

 

La storia che vi stiamo per raccontare riguarda una piccola città in provincia di Viterbo di nome Tarquinia, 16 mila abitanti, che dal giugno del 2019 è protagonista involontaria di una vicenda che potrebbe cambiare il futuro di una intera regione e l’identità di due importanti partiti italiani. Nel giugno dello scorso anno, A2A, una delle multiutility più importanti d’Italia, partecipata al 25 per cento dal comune di Milano e al 25 per cento dal comune di Brescia, ha presentato alla regione Lazio una richiesta per aprire un termovalorizzatore molto grande capace di smaltire fino a 500 mila tonnellate di rifiuti all’anno. Il Lazio, come sappiamo, sul tema dei rifiuti ha dei guai seri e A2A, che gestisce già il famoso termovalorizzatore di Brescia oltre che quello di Acerra, ha proposto una soluzione a un problema che tutti conoscono ma che nel Lazio in pochi vogliono vedere. Il Lazio produce ogni anno circa tre milioni di tonnellate di rifiuti urbani con una raccolta differenziata totale pari al 47 per cento (la media nazionale è del 55 per cento).

 

Attualmente, il Lazio ha dunque un fabbisogno per la gestione dei rifiuti urbani pari a circa 1 milione e 600 mila tonnellate di trattamento. I rifiuti che non finiscono nella differenziata vengono inviati in piccola parte a un impianto di termovalorizzazione esistente, che si trova a San Vittore, in provincia di Frosinone, che riceva 360 mila tonnellate all’anno. Altre 360 mila tonnellate vengono inviate in discarica. Il restante viene prima inviato nei famosi Tmb, impianti specializzati in trattamento meccanico-biologico, che riescono di solito a trasformare in materiale riciclabile tra il 10 e il 20 per cento dei rifiuti che ricevono. Tutto il resto viene spedito, a caro prezzo, in altre regioni dotate di termovalorizzatori che grazie a questa tecnologia possono smaltire facilmente i rifiuti prodotti nelle proprie regioni e incassare denaro smaltendo quelli prodotti dalle regioni incapaci di smaltirli autonomamente (solo a Roma, dove ieri la sindaca Raggi è stata clamorosamente battuta in consiglio comunale con dodici grillini che hanno votato per due volte contro la sua proposta di costruire una nuova discarica, i cittadini pagano 670 milioni di euro all’anno di Tari, di questi, 350 milioni di euro se ne vanno in personale e 200 milioni se ne vanno per allontanare i rifiuti e portarli negli impianti che la regione non ha).

 

In sintesi: dei tre milioni di tonnellate di rifiuti prodotti nel Lazio, 1,4 sono differenziata (e di questa il 10 per cento una volta arrivato negli impianti di trattamento finisce tra i rifiuti impossibili da differenziare), 720 mila finiscono tra le discariche e l’impianto di San Vittore, circa 176 mila vengono riciclati dopo l’attività del Tmb. Significa che ogni anno il Lazio produce circa 800 mila tonnellate di rifiuti che non sa dove piazzare e che invece regioni come l’Emilia-Romagna hanno imparato a trasformare in oro (la gerarchia di gestione dei rifiuti individuata dalle direttive Ue sull’economia circolare prevede, tra le altre cose, il raggiungimento di tassi di riciclo del 65 per cento entro il 2035, il che significa raggiungere una percentuale di raccolta differenziata non inferiore al 75 per cento: ce lo chiede l’Europa!).

  

Quelle che possono sembrare solo questioni di natura tecnica diventano però immediatamente questioni di natura politica se si mettono a fuoco i protagonisti di questa storia. Il primo protagonista è il segretario del Pd, Nicola Zingaretti, presidente della regione Lazio, i cui tecnici hanno già anticipato lo scorso anno il proprio parere negativo sulla realizzazione di un termovalorizzatore, per la gioia dei consiglieri regionali grillini, il cui partito ha fatto storicamente della battaglia ideologica contro gli inceneritori un proprio punto di orgoglio (Federico Pizzarotti, sindaco di Parma, oggi alleato di Bonaccini in Emilia-Romagna, fu cacciato dal M5s per non aver bloccato nella sua città la costruzione di un termovalorizzatore). Che il Pd nazionale non sia favorevole alla costruzione dei termovalorizzatori è sì una notizia negativa, ma è una notizia fino a un certo punto: anche in Umbria la coalizione (di insuccesso) formatasi mesi fa tra Pd e M5s accettò di buon grado di sottoscrivere un programma elettorale in cui si prometteva agli umbri di combattere contro la costruzione dei termovalorizzatori (è finita come sappiamo).

 

Ciò che risulta forse più interessante della vicenda del termovalorizzatore di Tarquinia è la posizione assunta da un partito che fino a oggi ci aveva detto di essere intenzionato “a costruire un termovalorizzatore in ogni provincia italiana” – e quelle che avete letto ovviamente sono parole di Matteo Salvini. Il sindaco di Tarquinia si chiama Alessandro Giulivi, è iscritto alla Lega, è sostenuto da una giunta di centrodestra e da mesi, udite udite, sta portando avanti una battaglia molto vigorosa contro la costruzione del termovalorizzatore nella sua città: ovunque ma non qui.

 

In estrema sintesi, la storia dell’impianto di Tarquinia – che ci ricorda la pazzia del modello grillino nella gestione dei rifiuti – ci presenta un’altra notevole impostura del partito di Salvini e mostra al Pd di Nicola Zingaretti una strada che meriterebbe di essere percorsa con più convinzione rispetto a oggi: fare proprie le indicazioni dell’Europa sul tema dei rifiuti (la direttiva già citata considera la discarica l’opzione meno favorevole nello smaltimento dei rifiuti, prescrive un utilizzo da ridurre al dieci per cento entro il 2035 delle stesse discariche e invita a portare avanti politiche di recupero energetico attraverso termovalorizzatori), non schiacciarsi sul modello grillino (chiedere a Luigi Di Maio come funziona il termovalorizzatore che ad Acerra ha contribuito a dimezzare i guai della Campania nello smaltimento dei rifiuti) e fare proprio il modello Bonaccini a prescindere da quello che sarà il destino di questa campagna elettorale.

  

In Emilia-Romagna, dove la regione in questi anni ha superato il 70 per cento di raccolta differenziata e di riciclo, otto punti in più rispetto a due anni fa, circa 15 punti in più rispetto alla media nazionale, portare i rifiuti di Roma in uno dei suoi otto inceneritori costa circa 180 euro a tonnellata. Il Lazio può cominciare a fare lo stesso. Vale davvero usare il mouse dei partiti per buttare quest’occasione nel cestino della politica? Forse no.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.