Friday for Raggi
I ragazzi gridano “ricicliamo ricicliamo”, ma qui l’unica che ricicla è la zingara che fruga nei cassonetti
Roma. I ragazzi gridano con allegria, “ricicliamo ricicliamo”, e pure la zingara grassa urla qualcosa mentre fruga nel cassonetto maleodorante. Anche lei è allegra: tra le immonde sostanze ha trovato una boccetta di profumo. E’ piena! “Stop emissioni”, dicono intanto i ragazzi. “Vi siete goduti le stelle e ci avete lasciato il cielo a pecorelle”. Poi: “C’avete scassato i polmoni”. E in effetti su via Nazionale, salendo verso piazza della Repubblica, ecco i clacson, il camion dell’Ama che caracolla, i motorini come a Saigon, gli autobus che vanno quasi tutti a gasolio come manco a Calcutta, l’isteria da piccola megalopoli congestionata, lo strepito degli automobilisti, dei tassisti, dei pedoni che inciampano sul marciapiede riempito di croste, piaghe, buche e avvallamenti. Passarci in mezzo, a via Nazionale, per i ragazzi che la risalgono controcorrente per raggiungere la manifestazione di piazza della Repubblica, significa diventare dei bersagli mobili dentro un reticolo di salsicce di lamiera mista a fumi, gas, esalazioni, e poi lo strepito, l’ira di tutti contro tutti. E insomma un venerdì di sciopero studentesco per salvare il mondo dai cambiamenti climatici e dall’inquinamento, a Roma convertirebbe chiunque, anche il più scettico, alle profezie apocalittiche della piccola Greta Thumberg.
A Piazza Esedra quattro bottiglie e tre lattine tracimate dal solito cestino stracolmo rotolano, vengono schiacciate, pestate, rincorse, come la famosa carrozzina della Corazzata Potemkin. E la scena è tanto più significativa perché qualcuno intanto fa partire un coro sul “buco dell’ozono”, mentre il buco più grosso qua è nei bilanci dell’Ama, l’azienda municipalizzata della nettezza urbana che a dicembre ha visto bruciare per un giorno intero il suo maggiore deposito di rifiuti indifferenziati, il Tmb Salario. L’Arpa calcolò valori di diossina nell’aria pari a sette volte il limite previsto per gli ambienti urbani. E allora qualcosa di più concreto e tangibile dell’apocalisse di Greta è già arrivato, parte da qua, dal colle fatale del Campidoglio, ed è sotto gli occhi (e le narici e le suole delle scarpe) dei ragazzi che protestano, qui dove la raccolta differenziata nel 2018 è cresciuta meno di due punti percentuali, per cui forse tra circa quarant’anni si arriverà a una media accettabile. Altro che colpa del capitalismo, del profitto a tutti costi, delle merendine, degli aeroplani e delle cocacole zuccherate e tutte le inafferrabili bellurie del ministro grillino dell’Istruzione Lorenzo Fioramonti, l’erede di Danilo Toninelli, cioè quello che non voleva la Tav, un’opera pubblica che abbatte le emissioni di anidride carbonica. La differenza fra un treno elettrico e un’automobile a benzina la capiscono tutti, anche i bambini, ma evidentemente non i ministri a 5 stelle.
E infatti Virginia Raggi saggiamente stavolta non è scesa in piazza (l’ultima volta fu contestata), malgrado si sia abbandonata giovedì con tutto il suo Consiglio comunale ad approvare una grottesca risoluzione “per salvare il mondo dal climate change”. Un testo surreale perché approvato con i voti di quegli stessi grillini che fino a pochi mesi fa sostenevano le rivendicazione dei gilet gialli francesi, cioè di quelli che incendiavano Parigi per protesta contro le tasse ecologiche sulla benzina. “Vogliamo il chilometro zero”, gridano i ragazzi del friday for future. Ma in realtà attorno a loro soltanto la metro di Roma rende davvero il significato di km zero. Sta ferma. Nella centralissima piazza Barberini la stazione è chiusa dal 23 marzo. I romani vanno tutti in auto o in motorino come nel terzo mondo, mentre la sindaca partecipa ai forum ambientalisti sulla CO2. “Ci avete rotto il clima”, urlano i ragazzi, pensando di avercela chissà con chi, qualcuno di lontano, come Talete che guardava gli astri e intanto cadeva nel pozzo.
L'editoriale del direttore