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Ecco perché il servizio di raccolta e smaltimento andrebbe riassegnato

Chicco Testa

La discrezionalità di standard e obiettivi cui adeguarsi, la difficoltà di indicare i costi. Il problema della gestione dei rifiuti di Roma aiuta a capire le criticità del rapporto tra amministrazioni e società partecipate

Roma. La “Agenzia per il controllo e la qualità dei servizi pubblici di Roma Capitale”, in questi giorni ha analizzato la bozza di contratto di servizio 2019/21 fra Comune di Roma e Ama, approvandolo ma individuando ben 24 osservazioni e proposte di modifica. Un documento interessante, che aiuta a capire meglio molti dei problemi della gestione dei rifiuti di Roma, ma che aiuta a capire anche i problemi e le criticità delle gestioni in house, diffuse in molte città italiane. Le osservazioni della Agenzia sono pesanti, l’ente di controllo contesta prima di tutto che siamo di fronte ad un “contratto di risultato”, con scarse indicazioni degli obiettivi da parte del Comune e un ampio margine di autonomia da parte della azienda. Il contratto non definisce fabbisogni standard, non si basa su costi standard, non obbliga Ama ad avere una contabilità analitica idonea a verificare il livello di efficienza dei costi dei singoli servizi. Tutte cose che in una gara di appalto/concessione vengono individuati con chiarezza, ed il contratto successivo quindi basato su elementi di trasparenza e verificabilità.

 

E’ la classica “sindrome” delle gestioni in house: una relazione opaca, che favorisce opportunismi e rimpalli di responsabilità da entrambe le parti. L’ Agenzia denuncia il mancato raggiungimento degli obiettivi raccolta differenziata, ma soprattutto la inesistenza nel contratto di obblighi per la realizzazione degli impianti necessari a gestire i rifiuti di Roma, senza esportarli. Segnala che il rischio sanitario derivante dalla mancata raccolta dei rifiuti non è regolato dal contratto, la mancata separazione contabile fra i costi dei servizi coperti da Tari e quelli non coperti, la mancata attribuzione della riscossione Tari ad altro soggetto, un inadeguata applicazione del codice dei contratti, il mancato sviluppo del decentramento, spostando a livello dei Municipi molte attività e strutture impiantistiche, mancate decisioni in materia di evasione tributaria.

 

Insomma una “approvazione” che assomiglia a una bocciatura. E non dice che il Comune ed Ama dichiarano un costo totale di 432 euro tonnellata a Roma (contro una media Italia di 344, una media Emilia di 264 e una media Centro Italia di 375). Pur considerando le specificità di una città come Roma sembrano valori molto distanti dal benchmark. Per molti aspetti le osservazioni della Agenzia sono coerenti con quanto Arera sta elaborando in termini di costi efficienti e trasparenza, e a partire dal 2020 anche a Roma arriverà l’effetto della regolazione nazionale. Resta il dubbio: perché non fare una gara pubblica per la concessione nella capitale d’Italia?

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