Virginia Raggi (foto LaPresse)

Raggi lascia la città con un "Pums" di mosche

Gianluca De Rosa

Metro C in malora, funivia nei sogni, idem la stazione di Piazza Venezia: ecco com'è fallito il piano urbano della mobilità

Roma. Chilometri e chilometri di metro, tramvie e piste ciclabili su ogni strada consolare, finalmente un servizio di trasporto pubblico semplice ed efficiente. In dieci anni i grillini sognavano una rivoluzione del calamitoso sistema della mobilità pubblica della capitale. Tutto è stato scritto quest’estate su una delibera dell’Assemblea capitolina. Il Piano urbano della mobilità sostenibile (Pums), un documento programmatico per disegnare dal punto di vista trasportistico la città del domani. Peccato che, a sentire i sindacati, quel provvedimento sia stato definito un “libro dei sogni”. Non solo dai media, ma dal direttore generale del Campidoglio Franco Giampaoletti. Recentemente il comune ha scelto di liquidare la società Roma Metropolitane, la municipalizzata che si occupa della progettazione e della messa a gara di metro e linee tram. Ai sindacati che spiegavano che per realizzare il Pums servisse una società pronta a progettare le infrastrutture, Giampaloletti rispondeva dunque con cinica concretezza. Eppure secondo l’amministratore dimissionario dell’azienda, Marco Santucci, i guai finanziari di Roma Metropolitane derivano proprio dalla mancanza di opere inviate dal Campidoglio per essere progettate: “Il nostro contratto di servizio con Roma Capitale – spiega – si basa sull’assegnazione delle progettazioni, quelle inserite non erano sufficienti per coprire i costi”. Nel Pums però le opere da progettare ci sarebbero eccome. A partire dalla project review, la revisione progettuale, della tratta T2 (Venezia-Clodio) della linea C della metropolitana e dal progetto definitivo della funivia Battistini-Casalotti, l’opera feticcio del M5s capitolino. “Sarebbero bastati questi due affidamenti per evitare all’azienda la liquidazione”, spiega Santucci. Adesso, invece, rischiano il posto 150 dipendenti e, soprattutto, rischia di impantanarsi il progetto della metro C. Ma andiamo con ordine.

 

La project review citata sopra riguarda la tratta T2 della linea C, da piazza Venezia a piazzale Clodio. Si tratta, in pratica, di riscrivere il progetto esecutivo per poter iniziare i lavori. Un passaggio fondamentale e non breve. Per farlo servono almeno due anni. Finora Roma Metropolitane, su indicazione del Campidoglio, aveva redatto le linee guida del documento, immaginando diversi possibili scenari. La progettazione vera e propria, invece, era stata finanziata per quest’anno con cinque milioni attraverso il bilancio capitolino, ma poi, con l’assestamento di luglio, quei fondi erano stati stralciati. La cosa fece rumore, ma dal Campidoglio si affrettarono a dire che la revisione progettuale sarebbe stata rifinanziata in autunno attraverso una convenzione con il ministro dei Trasporti Danilo Toninelli che avrebbe consegnato alla Capitale i 145 milioni stanziati per le metro romane con la legge di bilancio dello Stato 2019. Dieci milioni sarebbero stati destinati proprio alla project review in modo da poter includere nel nuovo progetto anche la stazione di piazza Venezia. Da allora è cambiato il ministro competente, nessuna convenzione è stata firmata e per la società che avrebbe dovuto realizzare quella project review ed è il committente della Metro C è stata scelta la via della liquidazione. Con una terribile conseguenza. Shira e Filippa, le talpe che hanno scavato i tunnel della linea, saranno tombate sotto i Fori imperiali, senza arrivare a piazza Venezia come aveva promesso a luglio l’ormai ex assessore alla Mobilità Linda Meleo. In concreto significa che l’opera rischia di bloccarsi. O, se si deciderà di continuare, ci saranno comunque forti ritardi, oltre a un aumento dei costi stimato in 64 milioni di euro. Da palazzo Senatorio cercano di smorzare i toni. “Il progetto della metro C andrà avanti, non ci sono rischi”. “Per questo – dicono – abbiamo scelto per Roma Metropolitane la strada della liquidazione ‘controllata’”.

 

“La liquidazione ‘controllata’ – ci dice invece la consigliera del Pd Ilaria Piccolo – non esiste in nessun testo di diritto fallimentare. E’ una baggianata bella e buona”. E, anzi, è la ragione del triste destino delle talpe. “Con questa scelta – spiega l’esponente dem – il liquidatore traccia una linea: si potranno portare avanti le attività già in corso, ma di certo non possono essere assunti nuovi incarichi né firmati nuovi contratti”. L’attuale con il consorzio Metro C prevede che le scavatrici si fermino a metà di via dei Fori imperiali. E così, addio talpe. Pensare che il Pums prevede che entro 10 anni la linea C arrivi alla Farnesina. Intanto, secondo Santucci, l’apertura delle stazioni di Amba Aradam e Fori imperiali slitterà al 2024. Un anno dopo rispetto a quanto annunciato negli ultimi mesi. 

 

Ma non è l’unico problema. Roma Metropolitane è la stazione appaltante per conto del Campidoglio per quel che riguarda le metropolitane. E questo preoccupa anche per le manutenzioni straordinarie delle metro A e B. Nel 2016 l’allora ministro Graziano Delrio stanziò 425 milioni di euro per rimetterle a nuovo. Entro il 31 dicembre Roma Capitale deve assegnare la prima tranche da 180 milioni di euro per gli adeguamenti su sicurezza e sistemi antincendio, pena la revoca del finanziamento. Santucci si domanda: “Se non sarà Roma Metropolitane la stazione appaltante, chi lo farà entro sette mesi?”.

 

Allucinante, infine, anche la vicenda della funivia. In un’intervista di alcuni mesi fa l’allora assessore alla Mobilità Linda Meleo ci rispose che era l’opera che contava di lasciare alla città entro la fine del mandato. Con una variazione di bilancio del 19 giugno erano stati fatti gli stanziamenti per affidare il progetto definitivo a Roma Metropolitane, ma l’incarico non è mai arrivato. Nonostante il finanziamento dell’opera abbia ricevuto l’ok dei tecnici del ministero e manchi solo la firma della neo responsabile del Trasporti Paola De Micheli.

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