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Contro l'Ulivo formato grillino

Claudio Cerasa

La nuova scomposizione della politica è una buona notizia per chi vuole combattere il movimento sei stelle

Tutto poi sta nell’intendersi sulla natura di un concetto sfuggente: ma esattamente che cosa vuol dire stabilità? Tra le molte critiche ricevute in queste ore da Matteo Renzi, relativamente alla decisione di uscire dal Pd per formare un movimento politico autonomo, quelle meno efficaci riguardano un tema che negli ultimi giorni è stato evocato spesso da diversi osservatori: la scomposizione del quadro politico è un atto del tutto irresponsabile perché destabilizza il manovratore, destabilizza il Pd, destabilizza il governo, destabilizza l’alleanza con il M5s e in definitiva destabilizza l’intero paese.

 

 

Ci sono molte critiche sensate che si possono fare all’ex presidente del Consiglio – per esempio, dettaglio non di poco conto, sarebbe stato interessante essere meno superficiali nello spiegare le ragioni della scissione. Ma la critica della destabilizzazione del quadro politico è una critica che non sta in piedi e che nasconde una visione del mondo pericolosa che merita di essere esplicitata: il nuovo partito di Renzi è un pericolo per la nuova maggioranza perché crea una competizione con il Pd di cui non si sentiva il bisogno e perché può essere decisivo nell’impedire che il patto di governo diventi presto, come da definizione del ministro Francesco Boccia, “una grande alleanza sociale”. All’interno del fronte democratico, chi sostiene questa tesi lo fa tenendo a mente due prospettive tanto surreali quanto verosimili: spostare verso il grillismo il baricentro del Partito democratico, provando cioè a recuperare voti grillini facendo propri alcuni temi del M5s, dall’ambiente al welfare passando per la giustizia, e lavorare affinché le traiettorie del Pd e del Movimento 5 stelle possano andarsi ad affiancare al punto da far diventare (a) il patto di governo un nuovo embrione dell’Ulivo e (b) l’attuale garante del patto una sorta di Romano Prodi del futuro (partiti che fanno un passo indietro, si alleano e candidano un civico: il modello Umbria applicato a livello nazionale).

 

All’interno del governo, in mezzo a molte ottime intenzioni sull’Europa, sui migranti, sulle tasse e persino sulle infrastrutture, esiste (linea Franceschini) una spinta innegabile a trasformare l’accordo tra Pd e M5s in un accordo non transitorio ed emergenziale ma in un accordo naturale e persino strutturale. E da questo punto di vista si può dire che la presenza del movimento di Renzi – irrilevante dal punto di vista elettorale ma rilevante dal punto di vista parlamentare – crea una sana instabilità, nel senso che potrebbe rompere molte uova all’interno del paniere tenuto sotto braccio dai teorici del movimento sei stelle.

 

In tre modi: impedendo la prodizzazione di Conte, evitando la grillizzazione del Pd e creando le condizioni giuste per avere nella legislatura un’alternativa a questo governo (Renzi ieri ha detto che “noi abbiamo attaccato la spina al governo per evitare le follie di Salvini e per noi la legislatura finisce nel 2023”, lasciando intendere quasi esplicitamente che se questo governo non dovesse funzionare il suo movimento si candida a ospitare tra le sue file tutti i parlamentari lontani da questa maggioranza intenzionati a imprimere un giorno una svolta ulteriore al governo di svolta).

 

Dal punto di vista elettorale, dunque, è possibile che la mossa di Renzi diventi qualcosa di simile a un harakiri (più per Renzi che per il Pd) nel caso in cui il governo dovesse improvvisamente cadere. Ma dal punto di vista politico, invece, avere un piccolo movimento capace di creare competizione con il Pd intorno a temi sui quali il Pd ha bisogno di essere stimolato (che si fa con la prescrizione?, che si fa con i termovalorizzatori?, che si fa con il Jobs Act?, che si fa con il taglio alle tasse?) è una garanzia di buon funzionamento del governo e anche di buon funzionamento del Pd. Per il Pd, perché costringe il segretario del Pd a non spostare verso il grillismo la barra del suo partito (cosa aspetta Carlo Calenda a tornare nel Pd?). Per il governo, perché costringe il presidente del Consiglio ad avere una scusa (eh, che devo fare, c’è Renzi che me lo chiede) per non bloccare il paese assecondando la decrescita grillina come successo nei quattordici mesi del governo gialloverde (e c’è da scommettere che fino a che i sondaggi di Renzi saranno molto bassi, come lo sono oggi, intorno al 3 per cento, l’ex presidente del Consiglio farà di tutto per non creare troppa instabilità e non rischiare di andare votare). Se l’instabilità è questa, beh, viva la nuova scomposizione e viva la nuova instabilità.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.