Il pugile Patrizio Oliva durante il combattimento contro Sacco (LaPresse)

Perché Renzi è uscito dal Pd proprio ora?

Adriano Sofri

Pensate al pugilato e non vi stupirete del momento scelto dall'ex premier per la scissione

Ci sono due stupori che mi stupiscono. Uno riguarda Salvini, uno Renzi. Ci si è mostrati stupefatti per la decisione di Salvini di rompere col governo, e ancora si ripete: “Non ho capito perché, deve ancora spiegarlo”. Qualcuno circoscrive lo stupore alla data: l’8 agosto, in genere non si fa. (“Era accaldato”, ha detto con lieve understatement Carlo De Benedetti). Ma tutti gli stupiti aspettavano da mesi che Salvini decretasse la fine del governo per andare alle elezioni (che non ci sarebbe andato, non se lo figurava). Dunque ci si è stupiti per una cosa aspettata, annunciata, che in qualche caso aveva sollevato l’interrogativo opposto: Come mai non l’ha ancora fatto?

 

Veniamo a Renzi: nessun evento è stato tanto aspettato e annunciato quanto l’uscita di Renzi e dei suoi dal Pd – forse solo l’arrivo dei barbari. Forse per analogia con l’arrivo dei barbari, sempre attesi invano, sicché la città che si era parata a festa per accoglierli deve tornarsene mestamente a casa, si era ritenuto che la scissione fosse troppo annunciata per avvenire davvero. È arrivata, e tutti fanno mostra di stupirsene, e io mi stupisco dello stupore. Anche questa volta, qualcuno collega lo stupore con la data scelta: il 16 settembre, completata l’intronizzazione del governo, non c’era altro da incassare, e nonostante il supplemento d’estate Renzi non era accaldato né spiaggiato. Dunque è successa un’altra cosa ovvia.

 

Mettiamoci dal punto di vista suo e dei suoi (infatti i suoi hanno anche loro un punto di vista, anzi più di uno). Renzi è piuttosto nell’angolo, ma ha conservato, per la lungimirante prepotenza con cui compose le liste alle elezioni politiche scorse, un gruzzolo parlamentare, che può diventare incisivo, specialmente al Senato che voleva tenacemente abolire, dove le maggioranze sono più risicate. Con le elezioni anticipate, il gruzzolo andrebbe dilapidato. Dunque (non solo per questo, perché non riconoscergli altri fini, compreso quello così rilevante per me, per esempio, di tagliare le unghie a Salvini?) Renzi, ragazzo sveglio, sfodera il primo colpo: si faccia un accordo di governo Pd-5 stelle e si sventi la pretesa di disporre delle elezioni generali come di un sondaggio privato. Il colpo riesce, i riluttanti si persuadono (con eccezioni, in Parlamento, irrisorie, Calenda e Richetti, che per giunta trasformano il loro plausibile dissenso nella dichiarazione di fondare un nuovo partito, che anche così solinga è una scissione) e si fa il governo. Fatto il quale, Renzi e il suo gruzzolo ritornano se non nell’angolo, infatti hanno qualche posto nell’esecutivo, in una relativa irrilevanza: sono una componente, una corrente, della direzione di Zingaretti.

 

È buona pratica, per esempio del pugilato, già passata per nobile arte, che inferto un cazzotto che lascia per un momento intontito l’avversario, non bisogna dormire sull’alloro ma saltellargli freneticamente attorno e, scoperto uno spiraglio, dargliene un altro che raddoppi l’esito – anche senza ko, perché qui la cosa si gioca ai punti.

 

Renzi e i suoi hanno due gruppi parlamentari indipendenti, qualche infiltrato lasciato nel campo concorrente (sapete com’è con gli infiltrati, che non sanno più nemmeno loro di chi sono infiltrati, e stanno a vedere) e un ruolo di componente della maggioranza di governo, da usare, se non per guastare (allora svelerebbero che non avevano davvero una natura di scorpioni, ma di ranocchie) per disporre di una forza negoziale. E avere tempo e tribune da cui tessere il loro filo. Naturalmente, tutto ciò ha a che fare con la legge elettorale proporzionale: a tal punto che perfino il ritorno dei liberieuguali nelle file del Pd forse è diventato inconveniente. Conclusione: bisognava stupirsi che Renzi e i suoi non uscissero dal Pd, e non ne uscissero ora.

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