Giorgio La Malfa (foto LaPresse)

“I partiti irrilevanti possono diventare igienizzanti”, ci dice La Malfa

Carmelo Caruso

Secondo il figlio dello storico segretario del Partito Repubblicano con Renzi e Calenda potrebbe tornare la stagione in cui "è più importante la qualità delle persone che il numero di voti".

Roma. L’ultima utopia è remota. Piccolo, ma decisivo. Liberale e anticlericale. Colto ed europeista. Dopo i tentativi, sempre falliti, di rifare un partito di centro, adesso si tenta con il Partito repubblicano, ultimo rifugio degli uomini cortesi e cartesiani. Carlo De Benedetti da Lilli Gruber ha ricordato di non aver perso “l’entusiasmo da ragazzo quando, al Politecnico di Milano, militava nel movimento studentesco del Partito repubblicano”. E repubblicane vorrebbero essere le idee di Carlo Calenda mentre “ha il peso del Partito repubblicano” il nuovo partito di Matteo Renzi che viene dato nei sondaggi al cinque per cento. “E a me viene da sorridere. Anche io sento che c’è voglia di ricostruire un partito simile a quello repubblicano. Tutti però dimenticano che il Partito repubblicano era un partito che nei suoi momenti più felici è arrivato al 5 per cento. Era un partito di estrema minoranza, ma che parlava con autorevolezza”, dice Giorgio La Malfa che di repubblicano ha la biblioteca e il patrimonio genetico del padre Ugo, il protagonista di un’epoca forse irripetibile, uno che per Indro Montanelli si macerava nelle passioni e dunque “ne soffriva godendone, ne godeva soffrendone”.

 

Ministro del Bilancio, degli Affari europei, professore di Politica economica, l’altro La Malfa è stato l’ultimo segretario del Pri prima dei travagli della storia e del naufragio di comunità. Oggi può tornare davvero quel partito di buone letture e di mitezza? “Non so se possa tornare ma posso raccontare cosa è stato il Pri: un partito con un bassissimo numero di esponenti parlamentari, ma di qualità altissima”. E infatti, La Malfa ricorda che eurodeputato era lo storico Rosario Romeo e in Parlamento repubblicani erano il meridionalista Giuseppe Galasso, Bruno Visentini, Francesco Compagna fino a Giovanni Spadolini che portò il Pri al suo massimo storico (cinque per cento) tanto da diventare presidente del Consiglio dopo essere stato anche direttore del Corriere. “Insomma, si trattava di un partito con una minoranza selezionata di rappresentanti. L’autorevolezza gli derivava dalle professioni e non certo dai voti che ottenevano alle urne”. Per La Malfa, il Pri è stato il partito più abile nell’alienarsi l’elettorato, un partito di sinistra ma keynesiano, un partito che parlava al popolo ma contro qualsiasi spesa improduttiva. “Ricordo che mio padre, da presidente della commissione Bilancio, scelse di dimettersi per protesta”. Voleva contare di più e chiedere qualche nomina nelle partecipate? “No. Protestava contro un emendamento che avrebbe alzato le pensioni ai militari e compromesso il fragile bilancio dello stato. Non a caso, perdemmo i voti dei militari che dei nostri pochi non erano poi così pochi”. Lo hanno descritto come il partito delle élite e repubblicano è stato non solo un modo di leggere il mondo, ma di scriverlo. Al Mondo, settimanale diretto da Mario Pannunzio, e prima vera redazione di Eugenio Scalfari, erano di casa i migliori agitatori del pensiero repubblicano e il Pri stesso è un incrocio formidabile di due culture, quella mazziniana e quella d’Azione di Giovanni Amendola. “Un partito che oggi si potrebbe benissimo definire di ispirazione protestante, calvinista” pensa La Malfa che conosce già il rimprovero. Non è che eravate gli ultimi snob? “Non eravamo snob. Eravamo popolari, ma a modo nostro. Montanelli una volta scrisse che mio padre Ugo era il solo politico che non voleva raccogliere voti ma raccogliere dubbi. Ricordo che mio padre gli rispose che non era vero. ‘Anche io vorrei il cinquantuno per cento, ma dicendo le cose che penso’”.

 

Il Pri pensava che l’Italia dovesse essere atlantista, tagliare la spesa corrente. In pratica, tutto il contrario delle politiche assistenzialiste. “Dicevamo sempre che non eravamo né di destra né di sinistra ma che eravamo avanti. E in questa risposta non c’era l’immodestia, ma solo la convinzione delle nostre ragioni. Dietro una spesa improduttiva c’è il reddito di un usciere. Ma se si continua a pagare l’usciere a mancare sarà il lavoro per il figlio dell’usciere”. La Malfa spiega che nel Dopoguerra, il Pri è riuscito a pronunciare questa verità e per un momento essere anche rilevante in Parlamento come vorrebbe da domani essere Renzi con la sua Italia Viva. “Eravamo rilevanti e non perché ricattavamo, ma per il valore che assumevano le posizioni politiche del Pri. Era un modo di entrare nella dialettica politica senza numeri ma con la ricchezza e la sapienza delle argomentazioni”. E’ chiaramente un partito che poteva vivere nell’Italia del proporzionale e non nel paese del maggioritario. “Si contesta il sistema proporzionale, ma l’Italia del proporzionale era quella che è arrivata al G7 mentre quella del maggioritario è l’Italia sprofondata nelle classifiche economiche al cinquantesimo posto” dice ancora La Malfa, che non è un nostalgico e neppure un saggio con il malumore in corpo. “Partiti come questi svolgono la funzione di indicare la strada a movimenti più grandi. Non sono d’alternativa, ma solo di proposta. Non so se Renzi aspiri a rifare il Pri, ma il suo nuovo partito può essere un partito insidioso, obbligare Forza Italia, ad esempio, a riscoprire le sue radici e non rimanere più gregaria di Matteo Salvini”. Che ne dice allora, riscopriamo il Pri? “Riscopriremmo la sottigliezza in politica e forse potremmo liberarci dalle scorie di questi mesi. Un partito irrilevante ma igienizzante”.