Francesco Boccia con il presidente del Consiglio Giuseppe Conte (foto LaPresse)

“Non basta il governo, con il M5s è ora di un'alleanza sociale”, ci dice Francesco Boccia

Salvatore Merlo

“Costruiamo un rapporto organico con il M5s. Dico ai governatori leghisti: fidatevi, questa sarà la legislatura dell’autonomia”, dice il ministro per gli Affari regionali. Come un nuovo Ulivo

Roma. “Io l’autonomia la ribattezzerei così: sussidiarietà. L’obiettivo di questa riforma epocale dev’essere la lotta senza quartiere alle diseguaglianze. Su questo, vedrete, si rinsalderà un’alleanza culturale e non solo politica con il M5s. Alla fine dovremo avere un paese capace di offrire la stessa qualità di servizi al nord come al sud, nell’area metropolitana di Milano come nelle valli del Piemonte. Noi adesso cambiamo paradigma. Ma senza perdere tempo. Nel governo precedente, la Lega diceva: ‘Approviamo le autonomie regionali subito, e poi vediamo come va’. Una roba che non ha funzionato, che si è arenata immediatamente, perché mancava un disegno sociale. E infatti con il M5s, che giustamente ipotizzava la creazione di un fondo di perequazione, si sono subito trovati in disaccordo. Con noi sarà diverso. Noi porteremo la riforma a compimento. Questa sarà la legislatura dell’autonomia differenziata”.

 

Cinquantuno anni, pugliese, deputato del Pd e nuovo ministro per gli Affari regionali, Francesco Boccia sorride quando gli si dice che la sua è una autonomia di sinistra. “Non so se esista una autonomia di sinistra, ma ne sarei fiero”, esclama in tono di aperta rivendicazione. E ripete: “Chiamiamola sussidiarietà. Devolvere poteri alle regioni senza prima aver innalzato e reso omogenei i livelli delle prestazioni provocherebbe il caos. E allora anziché parlare, come è stato fatto finora, in maniera ragionieristica di soldi e di costi standard, io vorrei capovolgere l’impostazione. Vorrei che i livelli essenziali delle prestazioni che sono scolpite nella Costituzione fossero al centro del confronto politico-culturale. Noi dovremo garantire, attraverso cospicui investimenti, che le scuole diano gli stessi servizi su tutto il territorio nazionale, che le infrastrutture siano moderne. Dobbiamo rendere questa riforma una straordinaria occasione di giustizia sociale e di rilancio. Il disegno deve essere quello di tenere unito il paese. E credo che tutti debbano fare un passo avanti”.

 

Anche i governatori leghisti? “Il mio ministero è casa loro. Il 23 incontrerò Luca Zaia con Stefano Bonaccini, il nostro presidente dell’Emilia-Romagna. Il 24 Attilio Fontana. Voglio ascoltare le ragioni di tutti. E nutro la speranza che le ragioni di ciascuno non diventino imposizioni. Spero che loro ascoltino il governo. E sono sicuro che troveremo una mediazione. Le provocazioni non le sentirò. Porgerò sempre l’altra guancia… Sapendo però che le guance sono solo due”.

 

I leghisti hanno paura che non si faccia nulla. “Con noi si fa. Questa è una opportunità per tutti, purché si cambi il paradigma. Si dovrà mettere mano non solo alla scuola, ma anche alle infrastrutture. Pensate all’alta velocità che è stata pagata da tutti, anche dal sud con le tasse della fiscalità ordinaria. Il sud ha contribuito per il 36 per cento alla costruzione dell’alta velocità. Ma ne ha soltanto il 16 per cento. L’alta velocità deve arrivare a Reggio Calabria. Sicilia e Sardegna meritano ferrovie moderne e oggi quasi non hanno nemmeno i treni. E al nord, al di fuori delle aree metropolitane, l’alta velocità deve arrivare o no?”.

 

A occhio, quello che sta disegnando il ministro Boccia è un progetto assai costoso. “E’ così. Riforme epocali senza soldi non sono mai state fatte. Si tratta di mettere in piedi un lavoro con gli altri ministri, anche quelli economici. Non stiamo parlando di una sola legge di Bilancio. Si parla di investimenti su molti anni e su molti esercizi di bilancio”.

 

L’ex ministro per gli affari regionali, la leghista Erika Stefani, è stata molto frenata dai Cinque stelle. “Non giudico il lavoro degli altri. Non è mai corretto. Non so da chi sia stata frenata. Penso però che chi ha l’onore di guidare questo dicastero debba lavorare esclusivamente per tenere insieme le ragioni di tutti. Se si tengono solo le ragioni di una parte, diventa difficile poi non sentirsi ‘frenati’. Il problema è: qual è il disegno? Il disegno deve essere quello di tenere unito il paese, lo ripeto. Una riforma fatta gli uni contro gli altri, nord contro sud, grandi centri contro piccoli, è una riforma che non va. Se tu fai una riforma dell’autonomia contro il nord è destinata a fallire. Se la fai pensando che il sud sia una zavorra, allora è una riforma miope che fa male al paese. Guardi, l’Italia tornerà a crescere quando tornerà a crescere il sud. Una buona riforma deve prevedere meccanismi che sanzionano pesantemente le inefficienze, premiano i virtuosi, non creano nuovi statalismi territoriali e soprattutto assicurino adeguati servizi in tutto il territorio nazionale”.

  

E tutto questo, quasi una soluzione della questione meridionale, lo dovrebbe fare l’anomala alleanza tra il Pd e il M5s? “Perché anomala? Non è affatto anomala. Abbiamo la stessa sensibilità ambientale, le stesse pulsioni sui temi del lavoro e da qualche mese anche punti di contatto evidenti sul rafforzamento dell’Unione europea”.

 

I grillini sono passati dal chiedere un referendum sull’euro a votare il presidente della Commissione europea del Ppe. E senza spiegare niente di questa capriola. Che affidamento danno? Potrebbero anche cambiare idea di nuovo. “Vedremo. Io trovo che si tratti di una evoluzione interessante. La scelta di rafforzare l’Europa dall’interno va salutata positivamente ed è una posizione profondamente alternativa a quella della Lega, che pensa di cambiare l’Europa distruggendola. Noi dobbiamo cambiarla dall’interno proteggendola”.

 

Noi chi? Pd e M5s? “Il Pd non deve dimostrarlo, ha il cuore in Europa”. Boccia parla quasi da partito unico con i grillini: “Penso che l’evoluzione del M5s abbia rafforzato l’accelerazione verso un’intesa che per me era naturale dal 2013. Per molti era innaturale, poi hanno cambiato idea. E ora siamo tutti contenti. Del resto l’avete a lungo raccontata anche voi sul Foglio la parabola di quelli contrari”.

 

I #senzadime. “Una cosa che appartiene al passato. Io guardo al futuro. Sono sempre stato convinto che si andasse verso una polarizzazione del confronto politico tra progressisti e nazionalisti. E siamo lì. Non solo in Italia, ma accadrà così in tutta Europa”.

 

Ci si poteva anche arrivare attraverso le elezioni. Magari vincendole. “La politica a volte ti chiama a scelte ancora più difficili. Se penso a come eravamo due mesi fa e lo paragono a oggi, dico che Nicola Zingaretti ha fatto un miracolo politico”. Anche a costo di qualche sacrificio personale. “Quelli che partono da se stessi di solito fanno una brutta fine”.

 

Dario Franceschini propone un accordo organico con i Cinque stelle. “Una cosa che ha molto senso. Proprio nell’ottica di una alleanza sociale di cui abbiamo parlato prima. Io così la chiamo l’alleanza tra noi e loro: alleanza sociale. E sono completamente d’accordo con Franceschini. Sono infatti sicuro che il buon senso alla fine verrà fuori anche sui territori, per le elezioni regionali. Non è facile. Ma quando si attraversa uno snodo politico storico ci sono persone cui sono chiesti sforzi maggiori. Stiamo vivendo un tornante della storia politica nazionale, paragonabile al ’96 per il centro sinistra e al ’94 per Berlusconi. L’apertura di Di Maio è molto molto interessante. Ovviamente il tempo giocherà un ruolo importante. Ci sono scadenze regionali adesso. E non si possono obbligare i gruppi dirigenti locali ad andare d’accordo. Vedremo. Spero però che tutti possano prendere esempio dalla lungimiranza e dalla generosità di Zingaretti”.

  

Tuttavia allo stesso modo in cui sono diventati europeisti, domani i 5 stelle potrebbero tornare euroscettici. Tanto non devono mai spiegare niente a nessuno. E domani quindi potrebbero anche chiudere con voi del Pd. “Ci sono fenomeni che sono irreversibili: in politica fai una cosa ed è come se ti fossi tagliato i ponti alle spalle. Un’alleanza elettorale è una prima volta dalla quale non torni più indietro”. Sarà. “Guardi, non bisogna essere diffidenti. Ma fiduciosi. Io parto dal presupposto che non stiamo vivendo una fase ordinaria della vita politica. Ma uno di quei momenti che poi entrano nelle cronache, nei libri di politologia”.

  

La riforma delle autonomie dovrebbe saldare l’alleanza. “Alleanza sociale, dicevo. Potremmo assolvere a un ruolo storico”. E poi si fa il partito unico con quelli del vaffa? “Non sono più quelli del vaffa. E comunque sì: un rapporto organico”. Sono di sinistra i grillini? “Rompendo con Salvini hanno dimostrato di non essere di destra”. Intanto però il Pd si scinde. “Ma gli elettori del Pd non si scindono. Al massimo si dividono, sbagliando, i gruppi dirigenti. Ma spero non avvenga”.

  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi erasmiana a Nottingham. Un tirocinio in epoca universitaria al Corriere del Mezzogiorno (redazione di Bari), ho collaborato con Radiotre, Panorama e Raiuno. Lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.