Il sindaco di Milano Beppe Sala (foto LaPresse)

Cercansi pontieri. Come comunicare con un governo molto poco nordista

Fabio Massa

La forbice tra Roma e Milano sembra incolmabile. Ma il nuovo governo non può permettersi di perdere di vista il capoluogo lombardo

I pontieri dovrebbero costruire ponti. Ma a volte la distanza è talmente grande che anche il Genio conta a poco: le campate sarebbero troppo alte, in aria. Quanto è lontana Milano dal potere politico romano? Oggi, più che mai. Se ieri, per una mera questione di provenienza geografica, Milano, Pavia, Varese esprimevano un buon pezzo della classe di governo, oggi vista da qui la rappresentanza è scarsa. Beppe Sala ha chiesto a Nicola Zingaretti e Giuseppe Conte attenzioni particolari. Ha chiesto una cabina di regia, e di essere considerato una sorta di “invitato permanente”, offrendo in cambio (dell’attenzione, non solo alla sua città ma al Nord) le risorse del famoso modello Milano, esportabile, se non alle altre città (giacché secondo il primo cittadino non è possibile in toto) quantomeno al metodo di lavoro del governo che ha appena ottenuto la fiducia. E che deve affrontare il nodo non banale della nomina dei viceministri e dei sottosegretari: una vera e propria camera di compensazione, politica ma anche territoriale. In questa contesa (nella quale sono tutti luogotenenti, tutti pronti al gran passo) si vedono in pole position, sul fronte Pd con base a Milano, Lia Quartapelle e Lele Fiano. Ma si sa, sono partite complesse.

 

Nel frattempo (e per il futuro) conta di più capire chi sono i pontieri, tra il Nord e Roma. Domanda mal posta, in verità. Quella corretta dovrebbe essere: ci sono pontieri in grado di colmare la distanza? Beppe Sala spera di sì, ma la verità è che no, non ci sono. A Roma, nella segreteria nazionale del Partito democratico, siede Pietro Bussolati, novello sposo ed ex segretario milanese dei dem. E’ entrato con Zingaretti laddove Matteo Renzi, che pure riempiva di complimenti il partito milanese (un po’ come Sala), aveva tenuto la capitale morale fuori da qualunque posto di responsabilità pubblico (nei tavoli tecnici, invece, era più che presente). Bussolati parla spesso e volentieri con Dario Violi, il consigliere regionale bergamasco che è luogotenente di Di Maio a Milano. Ma in effetti, chi tiene le fila (quante telefonate da e per Palazzo Marino) tra la città e Roma è Stefano Buffagni apprezzato da molti, uomo di relazioni, ma che le logiche (spesso illogiche) del Movimento cinque stelle hanno tenuto inchiodato per ora in Transatlantico e non dove potrebbe più naturalmente stare (al ministero dello Sviluppo economico). Dunque: chi porta le istanze del Nord a Conte? Per ora, nessuno. Ed è una cattiva notizia. Perché le partite nelle quali il governo ha da dire la sua, e da contare, e mettere soldi e influenza e relazioni e insomma tutto quel sale della politica amministrativa che fa tanto modello Milano, sono tantissime. A partire dalle grandi opere anche locali, ad esempio il fatto, improponibile per una grande città, che ad ogni temporale esonda il Seveso, malgrado i cartelli “Moratti dimettiti” Pierfrancesco Majorino e Pierfrancesco Maran li abbiano sollevati ormai dieci anni, quando governava il centrodestra. Poi ci sono le Olimpiadi: Giancarlo Giorgetti se n’è andato. Chi ci parla con Roma? Prevarrà la linea di investire in Milano-Cortina o di disinteressarsene per fino al semestre bianco, giusto per perdere il tempo necessario a rischiare il flop e dunque dover chiamare un altro salvatore della patria, come fu con Expo? C’è la questione degli scali ferroviari, il più grande intervento urbanistico della città. Ci sono i quartieri popolari e periferici che continuano a soffrire e in cui la mano pubblica fa fatica, finanziariamente, ad arrivare. C’è la finanza pubblica che avrà presto bisogno di cure, non per l’opera dell’assessore Roberto Tasca (Milano ha appena incassa la ‘A’ nello Stand Alone Credit Profile, di Fitch, il profilo di credito autonomo che tiene conto della robusta impostazione del bilancio comunale, della capacità di spesa e di debito e della ricchezza prodotta in città) ma per quello che farà il nuovo esecutivo. E ancor più, c’è tutto il mondo economico lombardo che attende di essere preso in considerazione dal nuovo governo. Anche, quando serve, attraverso gli strumenti della politica. Per ora il silenzio impera, tra Milano e Roma.