Il Bosco verticale (foto di Fred Romero via Flickr)

Ma il modello Milano cos'è? Ed è esportabile? Le idee di Sala e i dubbi

Fabio Massa

L'ex sindaco del capoluogo lombardo Giampiero Borghini ragiona sul riformismo pragmatico meneghino

Il modello Milano è un ben strano concetto. Per alcuni esiste da secoli, e risale ai monaci. Per altri, che vestono d’arancione oggi un po’ stinto, esiste solo da Giuliano Pisapia in poi, e riguarda unicamente il centrosinistra contemporaneo. Per alcuni è solo economia e buona amministrazione. Per alcuni è esportabile in toto. Per altri assolutamente no, perché non esiste un modello Milano per l’Italia. Per il sindaco di Milano, Beppe Sala, il modello Milano è esportabile in parte, e solo per l’Italia più che per le città. Ha spiegato il primo cittadino di Milano al Corriere della Sera: “A Zingaretti suggerisco solo una cosa: il governo riparta dal metodo Milano. Il punto è capire che il metodo Milano è innanzitutto replicabile per il nostro paese più che mutuabile nelle altre città. Consiste nella capacità di guardare a lungo termine, di fare con serietà un piano di governo del territorio, nel lavorare bene tra pubblico e privato rispettando i valori di ogni componente della società, dalle università alle imprese e dai lavoratori italiani agli immigrati che spesso fanno i lavori più umili”. Ripartire dunque dal modello Milano. Che non si incrocia, almeno dalle parole del sindaco, con l’autonomia richiesta da Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna. A quella, nel periodo più caldo dello scontro con Attilio Fontana, Sala aveva addirittura opposto una autonomia cittadina, metropolitana. Concetto ribadito in queste ore, che però Fontana stronca: “Il sindaco Sala si chiarisca le idee: dice ‘no’ all’autonomia alle Regioni e ‘sì’ a quella ai Comuni. Ma bisognerebbe dirgli di cambiare la Costituzione, che non prevede un’autonomia speciale ai Comuni”.

 

Ma torniamo al modello Milano. Ha ragione Sala sostenendo che è esportabile solo al paese ma non ad altre città? E’ una cosa contemporanea? In fondo: è uno schema replicabile? O è quello che diceva Calvino delle città, ovvero che “tutto l’immaginabile può essere sognato ma anche il sogno più inatteso è un rebus”? Con il Foglio ragiona Giampiero Borghini, indimenticato sindaco riformista di Milano. “Che cos’è il modello Milano? Non è cosa nata oggi. Assolutamente. E’ un modello antico di riformismo pragmatico. E’ un modello di gestione della cosa pubblica che tiene conto degli interessi. E’ un modo di far agire la società civile. Tutta la storia di Milano è ricca di questa particolarità. Però non bisogna far l’errore di pensare che sia un unicum. Ci sono metodi funzionali anche in altre realtà”. Metodo esportabile? Borghini torna al concetto di ideale, di sogno, di speranza. “Se poniamo il modello Milano come collaborazione tra il pubblico e il privato, crocevia tra dimensione individuale e collettiva, allora dobbiamo dirci che se questo modello non fosse esportabile non ci sarebbe speranza né per l’Italia né per le altre città”. Il tema è che “Milano è una repubblica, da sempre. Non c’è mai stato un re. Economicamente ha molti poteri, ma tutti che si bilanciano. Socialmente è variegata. E’ una società complessa ed evoluta, il cui modello non è traducibile in modo identico in altre realtà, che magari hanno avuto pochi imprenditori e il latifondo”. Quindi ha ragione Sala, non si esporta? “Certo che si esporta: il riformismo pragmatico è l’unica forma possibile di governo delle società complesse. Pensare che non sia esportabile è disperante. E’ l’illusione che Milano possa fare a meno dell’Italia. Ma alla fine l’Italia tirerà a fondo Milano se Milano non tira su l’Italia. Dopodiché non è l’unico modello accettabile: ci sono anche il modello Veneto e altri, ma la pratica milanese è forse quella più efficace nel cambiare le cose adattandosi alla realtà. E’ stato così con il socialismo, con il pensiero cattolico. Perché si passa senza danni tremendi da democristiani a socialisti, da destra a sinistra, nel governo cittadino?”. La risposta alla domanda è il modello. “Sta nella perfetta sintesi di questa storia. Voglio dire di più: se non c’è una proposizione forte del modello Milano per l’Italia dovremo rassegnarci che questo governo è quello del Sud dell’Italia. Un governo del Mezzogiorno contrapposto a noi? Mi parrebbe assurdo, e dunque io non mi rassegno a questo”.

 

Borghini poi riflette sul nuovo esecutivo Conte: “E’ sicuramente espressione della crisi istituzionale. La esprime fino in fondo. Una disgrazia necessaria? Non lo so, ma di certo non esprime il futuro del paese. Bisogna vedere quale programma c’è e chi governerà concretamente. Se il Pd vola basso va a sbattere contro il muro”. C’è chi dice che tradizionalmente il sindaco di Milano è una figura politica importante sullo scacchiere nazionale, ma poi grande politica nazionale non ne fa mai. “Diciamo che c’è una certa eccentricità di Milano rispetto all’Italia, dopodiché questo non vuol dire che è un’isola. Alla fine dei conti tutte le grandi trasformazioni della storia italiana hanno avuto in Milano il loro epicentro. Oggi politicamente Milano è eccentrica rispetto al resto del paese, ma solo perché bisogna creare le condizioni perché il resto del paese si comporti come Milano. Ma rinunciare in partenza mi sembrerebbe molto sbagliato”.

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