foto di Andrea Spampinato via Facebook

Vivere da Germi

Stefania Vitulli

Il posto di Milano voluto da Manuel Agnelli. Che non è facile dire che posto è, ma vorresti star sempre lì

Sarei felice di poter dire “mi trovate da Germi”. Un luogo sufficientemente defilato perché si noti poco ma non abbastanza laterale da evitare il pieno centro. E dunque un luogo che prima o poi ci capiti vicino per forza oppure ci fai un salto. Un posto che se è giorno sembra un antro scuro ma se è sera un covo di carbonari allegri. Sarei felice di poter dire: “Mi trovate da Germi”. Perché se anche intorno non c’è pace, qui sembra ci sia pace. Che non è la pace sonnolenta e domenicale che chi conosce poco Milano invoca a vanvera (e infatti questi poi a Milano non ci tornano spesso, o se ne vanno per sempre). Ma una pace culturale, cullata dal movimento roditore di chi apre un libro dopo l’altro, posa una quarta di copertina per guardare il retro di un vinile, alza lo sguardo sulla foto di un musicista jazz per riabbassarlo su un cocktail letterario o su due dita di whisky nel tumbler giusto.

 

Germi dunque è un posto acquattato nella Milano al momento asserragliata dentro i lavori per la metropolitana o per qualsiasi altra ragione incomprensibile per scavare, cementare, catramare e spostare betoniere (non è più vero che è la Milano che sale: è la Milano che scende, agli inferi delle sue fondamenta, con negozianti che si incazzano e pavé che svolazzano). Acquattato nella Milano che sempre quelli che la conoscono poco, ma amano parlare troppo, credono sia perduta per sempre oppure non sia mai esistita in Italia e vanno a cercarla a Williamsburg o a Bed-Stuy: la sartoria artigianale con sciura ultrasettantenne dallo sguardo severo che usa pezzi di giornale come biglietto da visita, accanto agli estratti di frutta Rita’s Juice che se vai su Tripadvisor hanno solo deliziate recensioni straniere; la storia tutta da scoprire della Conca del Naviglio (mai che si vedano scolaresche affacciate su quest’acqua sacra per Milano: portateci gli studenti, prof!) di fronte al Teatro I, cospirazione scenica di un gruppo di generosi folli capitanati dalla speranza di un ex asso del motocross di nome Renzo Martinelli. E poi gli artigiani, nascosti dietro a vetri opachi color nostalgia, qualche galleria d’arte e di ottima mobilia Novecento e altra robetta da scoprire.

 

Germi è qui in mezzo. Capite che se anche uno ci passa la serata, vuol dire che nel pomeriggio o ha studiato (l’Università Cattolica è a un passo) oppure ha fatto uno shopping selvatico, di quelli che danno soddisfazione. Ma a me, invece, farebbe felice poter dire che mi trovate da Germi sempre, pomeriggio e sera, a scrivere, bere, parlare, mangiare, ascoltare Arianna Scommegna che recita Ciampi (l’anarchico, non il presidente) o Filippo Graziani che rievoca Ivan (elenco eventi aggiornato su germildc.it), ma soprattutto a guardare quel tipo alla cassa, che fa le tessere associative (perché per entrare da Germi bisogna farsi una tessera che fa tenerezza, come si faceva nei circolini, solo che su questa c’è scritto che lo sport cresce con noi, perché nella mente perversa del legislatore sport cultura e tempo libero sono legati dalla stessa forma di insensatezza) e basta. Non fa nient’altro, all’apparenza, non sa nient’altro, ti guarda come dire: mi vedi ma non ci sono, e se ci sono dormivo. Roba che succede solo in provincia o nei libri di Paolo Nori, si potrebbe dire, a non conoscere Milano.

 

E allora è il momento di dire che Germi l’ha voluto uno che Milano la conosce un sacco, che si chiama Manuel Agnelli ed è inutile dire di più, ma che ancora più conosce certo animo umano, dove “tutto è efficacia e razionalità e niente può stupire e non è certo il tempo quello che ti invecchia e ti fa morire”. Germi è proprio come un altro verso della canzone, in cui succede che qualcosa ti può cambiare, magari una cosa piccola e magari non la vita, ma l’attitudine e pensa te, questo posto si trova a Milano, preso in mezzo tra aperitivi fighetti delle biciclette e piscina personale dei rampolli del San Carlo ed è così giusto che sembra fatto apposta per tutti, anche per i milanesi che da un po’ non trovavano soddisfazione.

 

Uscisse il Perozzi dalla redazione dopo una giornata in cui ha passato pezzi di cronaca pesante, un salto da Germi ce lo farebbe. Naturalmente subito chiederebbe quello che chiedono tutti: “Ma Germi per via del regista?”. E in coro la squadra di Germi – che dentro oltre al tipo alla cassa c’è un sacco di gente a gestire il locale nato in primavera scorsa – risponderebbe che no, che Germi si chiama proprio come i germi, perché quello che una volta era underground e poi alternativo oggi quelli più avanti lo chiamano “contaminato”. E il milanese è più avanti di quelli più avanti. Se è un milanese che canta poi, figurati.

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