Beppe Sala (foto LaPresse)

Pd e paletti. Il governo coi grillini spaventa (ma piace)

Fabio Massa

La mossa di Renzi ribalta gli equilibri interni del partito. Il modello Milano può attendere

La crisi, vista da lontano, vista da Milano svuotata d’agosto. I senatori democratici del collegio che rientrano e si affrettano sulle scalette degli aerei a qualche ora dal dibattito e poi giù giù a Roma a precipizio, abbronzati, accaldati, impastoiati in mille telefonate (“che si fa? Che cosa ne pensa Zinga? E Matteo? E allora Beppe l’hai sentito?”), con i cartelli preparati in Aula, da alzare per la diretta Mentana, contro Matteo Salvini. Nelle mille chat su Whatsapp, nei mille rivoli di interpretazioni, nelle mille posizioni che però stavano guardinghe, attendono la direzione di ieri. Ieri la direzione c’è stata. La direzione di provare a fare il governo di lunga intesa è stata più o meno presa. Non una vittoria per Zingaretti, che qui a Milano aveva iniziato a contare, a tenere il pallino. Ma per i comuni cittadini milanesi, che se ne sono andati sotto l’ombrellone senza convocazioni d’urgenza, bisogna ripartire da Beppe Sala. La politica meneghina era partita per le ferie con Beppe Sala che studiava da candidato premier – sì, forse, vediamo: se si fosse votato tra un anno. Qualche apertura al Movimento cinque stelle – che prima di Ferragosto era un anathema sit per i riformisti di sinistra, per quanto meneghini – e tanta battaglia contro Salvini, seguendo l’intuito politico di Pierfrancesco Majorino, che va sempre bene. Poi la crisi, e alle viste il probabile governo che no ti aspettavi. E l’idea affascinante, e che qualcuno sta ancora portando avanti, sottotraccia, ma senza chance di successo, di convincere Mattarella a chiamare il Beppe milanese per un governo di legislatura. Sempre che si riesca a fare, beninteso. Sala per ora farà il sindaco, poi si vedrà, quando le elezioni arriveranno. Ma per la sinistra lombarda, che stava faticosamente cercando una quadra, una via, un’ipotesi guida per trasferire il”modello Milano” su scala nazionale, tutti i giochi sono ora scompaginati. E il dubbio del governo coi grillini serpeggia, seguendo la falsariga del Grane Dubbio del Pd nazionale. Pierfrancesco Majorino lo spiega chiaramente al Foglio: “Non ci si può fermare al collante dell’antisalvinismo. Che cosa unisce noi e i pentastellati? Solo quello? Allora non andiamo da nessuna parte. La verità è che dobbiamo prendere i nodi e scioglierli. Vedere se si può fare un governo che non duri pochi mesi, ma che abbia coraggio per una vera politica sociale nuova”. Vecchio pallino dell’ex assessore al Welfare e adesso eurodeputato. Che poi introduce un tema nel frullatore: “Facciamo un esempio. Che cosa facciamo con l’Autonomia? Occhio a non infilarci in un tunnel per il quale la togliamo di mezzo, non la facciamo, la ripudiamo. E ci infiliamo giusto giusto nella trappola di Salvini. Diamo loro un alibi, e riavviciniamo il nord al Carroccio. Certo, si può cambiare qualcosa sull’Autonomia, ma va fatta”.

 

Quindi, che si fa? “Condivido la cautela di Zingaretti“. Stessa cautela tiene Pietro Bussolati, membro della segreteria nazionale ed ex segretario di Milano: “Zingaretti sta gestendo bene la cosa. Però una cosa dobbiamo farla capire chiara e forte ai nostri elettori. Noi, da sempre, a Milano abbiamo dimostrato che non abbiamo paura delle elezioni e non abbiamo paura di perdere. Vi ricordate Sala-Parisi? Mica era scontato vincesse Sala, e infatti ci siamo messi sotto a lavorare per il secondo turno. Se si deve fare un accordo con il Movimento, dovremmo studiare un metodo di coinvolgimento della nostra base. Dicendo a tutti che noi non abbiamo paura delle elezioni, cosa che Salvini continua a ripetere, ma che non è vera“. Il senatore Franco Mirabelli, a botta calda nel dibattito parlamentare, spiega: “Al paese serve un governo che risolva e non agiti problemi. Prima o dopo le elezioni? Lo vedremo”. Al Foglio però dice che se dovesse puntare un euro, lo metterebbe su un governo giallo-rosso. “Però di legislatura, non di pochi mesi, come ha proposto Matteo Renzi. Beppe Sala? Rimanga a Milano: dobbiamo preservare Milano perché è un patrimonio per la sinistra tutta”. 

 

Alessandro Alfieri, ex segretario regionale, lo chiama “istinto naturale alla sopravvivenza della legislatura”. Che però va declinato politicamente in positivo: “La prospettiva di un governo di breve durata è un modo per spianare la strada a Matteo Salvini. Il governo politico è invece qualcosa che si può provare a fare. Con paletti chiari e ben definiti però, e cercando di spiegare al nostro elettorato, che è stato caricato per mesi con i senza di me, con i ‘mai con i cinque stalle’ e robe del genere. Dobbiamo spiegarla bene, ecco”. Eugenio Cominicini è un renziano doc. Durante la Maratonamentana ha fatto la sua parte con un cartello, alla conclusione dell’intervento del ministro dell’Interno. Comincini non lo dice, ma c’è qualche renzianissimo che pensa che Renzi abbia fatto la sua uscita su un governo di breve durata per smuovere le acque stagnanti. “Del resto, anche il mondo renziano non è compatto – spiega al Foglio – Io per esempio penso che non si debba ragionare su un governo di scopo, ma di legislatura. La breve durata non serve a molto. Per il resto, moltissimi condividono che il voto adesso è da irresponsabili, tra aumento Iva e tutto il resto. Credo che il voto subito lo voglia solo Calenda”. Un po’ isolato, su Milano, il Carlo Calenda sempre amato. “Poi intendiamoci – ragiona Comincini – qui non è che bisogna fare la solita roba pro o contro Renzi. Qui magari ci sono posizioni intermedie. Una cosa positiva di una crisi che si va centellinando così è che ci viene consentito di fare riflessioni. Intanto, ma lo do come dato su cui, appunto, riflettere, i Comitati Civici hanno raddoppiato il proprio numero, su Milano”. Insomma, la crisi fa bene a Renzi? “Diciamo che ho visto persone cambiare opinione”, spiega Comincini. La cosa positiva delle crisi, è che a Milano il Pd rimescola il mazzo da capo. Come succede sempre. Poi si vedrà.