foto LaPresse

M5s e Pd sulla scialuppa di Greta

Alberto Brambilla

I due partiti si cercano per fare “qualcosa di verde” al governo. I rischi di un formidabile piano

Roma. In questo momento l’attivista climatica Greta Thunberg è in navigazione nell’oceano Atlantico ma se mai le arrivasse l’eco della crisi di governo italiana le fischierebbero le orecchie. Dopo la fine dell’esperienza gialloverde, l’idea di una piattaforma ambientalista è uno dei punti programmatici su cui il Partito democratico e il Movimento 5 stelle sono concordi per formare un esecutivo capace di durare (almeno) fino all’elezione del presidente della Repubblica, nel 2022.

 

Tra i cinque “pilastri” dell’intesa imprescindibili esposti ieri dal segretario del Pd, Nicola Zingaretti, c’è “l’investimento su una diversa stagione dello sviluppo fondato sulla sostenibilità ambientale”. Anche per Matteo Renzi, che controlla i gruppi parlamentari del Pd, tra i punti per “mettersi d’accordo su cosa fare” ci sono “ambiente e innovazione tecnologica”, ha detto in un’intervista a Repubblica il 15 agosto. E’ un punto d’incontro scontato visto che l’“ambiente” è, nel simbolo, una delle “cinque stelle” con cui il partito di Beppe Grillo è nato – benché in un anno di governo non abbia fatto nulla per lo sviluppo di tecnologie ambientali, ma solo ambire a bloccare opere pubbliche ed energetiche.

 

Giuseppe Conte nel suo discorso al Senato martedì, prima di rassegnare le dimissioni da presidente del Consiglio, con l’ambizione di essere nominato di nuovo premier aveva indicato l’indirizzo del prossimo governo: “Lo sviluppo equo e sostenibile deve spingerci a integrare in modo sistematico nell’azione di governo un nuovo modello di crescita, non più economicistico” e “l’obiettivo da perseguire deve essere un’efficace transizione ecologica in modo da pervenire a una articolata politica industriale che, senza scadere per carità nel dirigismo economico, possa gradualmente orientare l’intero sistema produttivo verso un’economia circolare che favorisca la cultura del riciclo e dismetta definitivamente la cultura del rifiuto”. Sono dichiarazioni d’intenti che però fanno salire idealmente il Pd e il M5s sulla scialuppa di Greta perché incontrano il sentimento popolare, in particolare di un elettorato giovane che ha manifestato a sostegno dell’adolescente svedese, e s’intonano con i piani di transizione energetica delle principali compagnie di stato l’Eni e l’Enel che stanno investendo nelle fonti rinnovabili e nell’economia del riuso – e i cui vertici dovranno essere nominati dal prossimo governo in primavera. “Abbiamo già progetti all’avanguardia, pensate , nello sfruttamento dell’energia derivante dai moti ondosi”, ha detto Conte. Il riferimento è all’Eni che nel maggio scorso ha installato al largo di Ravenna il primo impianto ibrido al mondo che converte l’energia generata dalle onde del mare in energia elettrica. “In Europa già ci distinguiamo per l’utilizzo delle energie rinnovabili; dobbiamo puntare all’utilizzo delle tecniche scientifiche più innovative e sofisticate per consolidare questo primato”. Il riferimento è a Enel, la prima utility in europea per capacità installata di rinnovabili.

 

Con queste premesse, e in linea teorica, il governo giallorosso già vellica il popolo di Greta, intercetta le ambizioni dei colossi energetici e s’intona con lo spirito della Laudato Si’ di Papa Francesco. Tuttavia le questioni da affrontare a breve sono molto più terrene. Per esempio a fine ottobre scadrà la concessione per la produzione dai giacimenti petroliferi dell’Eni in Val D’Agri in Basilicata. Come giustificherebbe il nulla osta allo sviluppo del giacimento on shore più grande d’Europa il M5s che per anni ha assecondato i movimenti No Triv e soprattutto quelli lucani? Quale posizione prenderà pubblicamente il Pd senza rischiare di essere cannibalizzato dal nuovo possibile alleato come accaduto a Matteo Salvini (il quale, sempre dal Senato, aveva detto “ovunque nel mondo quando trovi petrolio fai festa, noi no”)? Il problema della concessione lucana è serio: può anche non essere prorogata ed entrare in regime di prorogatio – per cui l’attività estrattiva non si fermerebbe ma sarebbero bloccati lo sviluppo del giacimento con nuove estrazioni e manutenzione straordinaria. La questione potrebbe essere sottaciuta dai partiti. Se non fosse che, da un lato, la produzione potrebbe calare riducendo gli introiti da royalties (centinaia di milioni) per la Regione Basilicata e, dall’altro, senza proroga non ci sarebbe accordo sulle compensazioni (decine di milioni) che la comunità locale dovrebbe ricevere per investire in sostenibilità sociale e ambientale. La regione Basilicata – a trazione leghista – si farà sentire? C’è poi un’altra incognita. Il Pd potrebbe anche riuscire a moderare le istanze ireniche del M5s ma se, come vuole Zingaretti, la coalizione dovesse imbarcare anche LeU, che asseconda i movimenti del No in modo più convinto dei grillini, la scialuppa di Greta prenderebbe la solita deriva ambientalista irrazionale.

Di più su questi argomenti:
  • Alberto Brambilla
  • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.