Porta Ticinese (Pixabay)

Un giro di dazi

Paola Bulbarelli

Parte il restyling degli ultimi due caselli. Da sempre segnano il limite e il passeggio della città. Una storia

Non era un vero e proprio casello daziario ma la Porta Nuova medievale, quella che separa piazza Cavour da via Manzoni, quando la varcò Honoré De Balzac, fu motivo di scriverne nella dedica che lo scrittore pose sul suo Splendeurs et misères des courtisanes, dono al nobiluomo che lo ospitava a Milano, per confrontare la pavimentazione linda di Milano con il fango di Parigi. S’era perfino rischiato di vederla demolita questa porta, quando nel 1869 il Comune indisse una discussione sul mantenimento o meno degli archi. Le porte principali, inserite nelle mura medievali, in tutto erano sette (Ticinese, Vercellina, Giovia, Comasina, Romana, Nuova e Orientale) e furono costruite in pietra e muratura dopo la distruzione delle precedenti mura da parte del Barbarossa. Parlare delle porte diventate, non tutte, mano a mano caselli daziari, è mischiare il tempo andato con l’oggi, la storia con l’attualità, momenti di grande frenesia ad altri di totale inattività. E’ di pochi giorni fa la notizia che andranno all’asta gli ultimi caselli daziari rimasti “liberi” (i due di piazzale Principessa Clotilde e di Porta Volta), appetibili per locali, ristoranti e showroom.

 

Ma fare qualche passo indietro è doveroso. “A partire dalla prima Europa medievale – spiega al Foglio Marco Romano, architetto, storico e scrittore di libri sull’estetica della città – le città o erano murate o non erano tali. Le mura erano il presidio sacro della loro difesa e identificavano la sovranità territoriale. Si pagava per entrare nelle città attraversandone le porte”. Le porte stesse venivano mostrate come monumenti, abbellite da bassorilievi come quella di Porta Romana o da tabernacoli marmorei come quello della Madonna con il Bambino e i Santi della Porta Nuova medievale. Si è soliti dividerle per categorie: porte di epoca romana, di epoca medioevale e infine le spagnole, anche se la maggior parte sono state completamente rifatte in epoca napoleonica. Diventando undici (Garibaldi, Nuova, Romana, Sempione, Ticinese, Venezia, Volta, Magenta, Lodovica, Vittoria, Vigentina. “Ma le città s’ingrandiscono e le cinte murarie iniziano a essere piccole. A Milano le mura vengono allargate verso il 1570, sotto il dominio degli spagnoli che volevano fortificare la città prevedendo bastioni e terrapieni per resistere alle cannonate. E si pone il problema delle porte. Che non vengono affidate a grandi architetti come a Parigi, nulla di clamoroso. Ma solide. Nel ’700 quando la Lombardia passa agli Asburgo, i bastioni non servono più da un punto di vista militare ma iniziano a essere usati per ricreazione, per passeggiate e corse con le carrozze”.

 

Una volta demolite le mura spagnole bisognava fare nuove porte. “E nascono i famosi caselli daziari dove stava il corpo di guardia, per farsi pagare il biglietto d’ingresso. Erano importanti soprattutto per le merci, in particolare i prodotti agricoli che pagavano un dazio. Nei caselli stavano i registri e tutto l’apparato amministrativo per misurare e pesare i carri con le derrate. Ma pagavano anche le persone. Hanno funzionato finché la ferrovia è arrivata fino in città”. Che farne, quindi? Gli storici bastioni della Porta Orientale, oggi Porta Venezia, concepiti dal Piermarini, ingabbiati nelle iute del ghanese Ibrahim Mahamaporta per la sua ultima installazione, porta d’ingresso di Renzo nei Promessi Sposi (che si ritrovò davanti l’orribile scena della peste) dopo molto tempo di abbandono, nei primi anni 2.000, vennero restaurati dall’Associazione Panificatori Pasticceri e Affini di Milano Monza Brianza e Province. Il recupero degli edifici gemelli degli ex caselli daziari di Levante e di Ponente, progettati dall’architetto Luigi Cagnola unitamente all’Arco della Pace e realizzati alla fine degli anni ’30 dell’800, bombardati durante la Seconda guerra mondiale, è stato studiato secondo le diverse destinazioni d’uso in particolare la cultura alimentare, dell’arte e del territorio. Il casello sud di piazza Cinque Giornate risale al 1783 ed è stato ristrutturato, l’ultima volta, alla fine degli anni Novanta.

 

Il casello ovest di piazza XXIV Maggio risale agli inizi dell’800 e fa parte di Porta Ticinese, antica sede della dogana sulla Darsena. I caselli est e ovest di Porta Nuova, in piazzale Principessa Clotilde, furono costruiti tra il 1810 e il 1813. “Da quel dì hanno iniziato ad avere una diversa vita dopo essere stati dismessi. Luoghi dove trovano spazio importanti raccolte di libri sul pane, il ristorante di pesce, l’antica sezione del partito socialista. E ora una gara per vedere se riescono ad affittarli tutti. Un tempo li affittavano a chi ne faceva richiesta”. Sono parti di città che testimoniano un passato e una storia importanti. “E anche come era il tessuto cittadino. Nella metà dell’800 venne deciso di mettere la statua di Vittorio Emanuele in piazza Duomo, così venne piazzata sulla monumentale Porta Garibaldi una figura femminile con le tette in vista che i milanesi di buona società non volevano manco vedere. Ma al popolo piaceva molto. Altre porte sono meno imponenti ma più nobili. Una caratteristica di Milano, accontentare tutti”.