Nicola Zingaretti e Matteo Renzi (foto LaPresse)

Tra Renzi e Zingaretti

David Allegranti

Se vive l’uno probabilmente muore l’altro. Il destino sospeso dei due segretari dei due Pd

Roma. Era nello sgabuzzino rignanese, Matteo Renzi, prima che arrivasse Matteo Salvini a ridargli centralità politica. Tutta una estenuante trafila di foto Instagram su come combattere le zanzare (“Salvini è ossessionato da me, io sono ossessionato da loro. Ma io almeno ho qualcosa con cui curare le mie ossessioni”. Faccina ridanciana, #autan) e di corse mattutine per i ponti di Firenze, con relativi inviti del popolo ad andare a lavorare anziché praticare la nobile arte del cazzeggio munito di AirPods. Poi, appunto, è giunto l’aiuto di Salvini.

  

  

Laddove si dimostra che nel nome c’è scritto il destino dell’uomo, vittima anch’egli di hubris, più Truciolo (copyright di Pippo Civati) che Truce, e Renzi è tornato al centro della scena, del retroscena e pure della platea insieme al pubblico. Come Pippo Inzaghi sulla linea del fuorigioco, ha individuato un pertugio e ci si è infilato, dicendo no al voto anticipato e sì a un governo istituzionale. La fessura gliel’ha fornita Salvini, con la crisi agostana del Papeete, ma pure chi prima di lui nel Pd aveva aperto pubblicamente al M5s, giocando a carte scopertissime; a quel punto, ha soltanto dovuto rivolgersi a chi ha la maggioranza relativa parlamentare, cioè i Cinque stelle, per scongiurare il ritorno alle urne. L’epoca del “senza di me” è stata archiviata rapidamente. Arte della sopravvivenza.

 

“Salvini ha riportato in vita Renzi. Un capolavoro”, dice un parlamentare che conosce bene l’ex sindaco di Firenze nonché senatore di Scandicci, che da giorni è tornato a presentarsi non più semplicemente come l’ex segretario del Pd ma come ex presidente del Consiglio, perché ogni momento ha bisogno della sua appropriata gravitas. “Viva il Capitano!”, dice un altro. C’è tutta una gerarchia di valori da rispettare, nella grammatica istituzionale; Obama è il “past president”, Renzi è “ex premier”. Tutto un peso da esporre nel dibattito pubblico da usare come grimaldello nei confronti di chi oggi formalmente comanda nel Pd senza poterlo fare per davvero.

 

 

“Zingaretti detta la linea”, titolava ieri l’edizione online di Repubblica. Ma il segretario ombra (o meglio il segretario di un partito nel partito) è Renzi, che porta in dote la sua pattuglia parlamentare, eletta quando lui era capo della Ditta, e qui sorgono i problemi per Zingaretti, che per l’appunto non si fida e deve affidarsi ai Dario Franceschini. Le cronache dicono che, di fronte alla richiesta di rassicurazioni di Di Maio sulla possibilità di credere a Renzi (e cioè che non farà scherzi), il governatore del Lazio non abbia potuto accendere la luce verde. D’altronde, citofonare Enrico Letta. E a poco valgono, agli occhi degli zingarettiani, gli incoraggiamenti dei renziani. “L’apertura di Renzi ha rovinato i giochi di Salvini: chi non lo ammette è in malafede. Adesso tocca a Zingaretti chiudere un accordo serio e noi siamo con lui”, dice Francesco Bonifazi. “Abbiamo votato all’unanimità un documento che dà a Zingaretti un mandato forte nella trattativa. Grazie a noi Salvini finalmente se ne va dal Viminale. Ora dobbiamo impedire che torni al governo e mettere in salvo al più presto i conti del paese”, dice Anna Ascani. Lo schema di gioco è insomma già tracciato. Salvini, per quanto disarcionato dal Viminale, resta l’avversario da battere. E l’unico che può riuscirci, secondo questa ricostruzione, è il senatore di Scandicci (se poi sia anche vero è tutt’altro discorso). In ogni caso, questo significa che Renzi è tornato senza mai andarsene per davvero, significa che forse non ha bisogno di andarsene lui dal Pd ma che alla fine è possibile pure che se ne vada Zingaretti, per il quale sarebbe meglio tornare a votare, anche per ridisegnare una pattuglia parlamentare senz’altro più fedele all’attuale segreteria e non a quella precedente. Intanto, insomma, c’è un segreteria ufficiale e una segreteria ombra (o meglio, di nuovo, un partito nel partito).

 

Se nascerà, ci sarà un governo e un governo ombra. Renzi se ne starà personalmente fuori come è stato fuori da quello di Paolo Gentiloni (anche se in prestito aveva dato Luca Lotti e Maria Elena Boschi), perché o ne è il protagonista principale, l’unico possibile frontman, o niente da fare. A quel punto le ombre saranno parecchie e i sospetti di Zingaretti, convinto che Renzi a un certo punto possa far cascare l’eventuale nuovo governo dopo sei mesi, non potranno che moltiplicarsi. “Nicola stai sereno”.

Di più su questi argomenti:
  • David Allegranti
  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.