Palazzo Chigi, il premier Giuseppe Conte incontra il presidente della Repubblica francese Emmanuel Macron (LaPresse)

Elogio del pazzo macronismo all'italiana

Claudio Cerasa

Da nemico a modello. La visita del presidente francese è uno specchio che riflette l’essenza della trasformazione italiana in laboratorio anti sovranista. In attesa del nostro Macron, accontentiamoci dei nostri splendidi Micron

Le immagini che troverete oggi sui giornali relative all’incontro tenutosi ieri sera a Palazzo Chigi tra il presidente del Consiglio italiano Giuseppe Conte e il presidente della Repubblica francese Emmanuel Macron possono essere osservate attraverso due lenti di ingrandimento molto diverse l’una dall’altra. La prima lente porta a soffermarci sui temi dell’incontro, sui contenuti del colloquio, sui dettagli del bilaterale. La seconda lente, che è quella che più ci interessa, ci fa invece soffermare sulla potenza simbolica di un volto, quello di Emmanuel Macron, che mai come oggi rappresenta uno specchio perfetto per capire come la politica italiana è cambiata in modo tanto radicale quanto entusiasmante nel giro di trenta giorni.

 

Un mese fa, il 19 agosto, Giuseppe Conte era ancora il presidente del Consiglio in carica di un governo che nel corso dei mesi aveva fatto di tutto per marcare la sua distanza dal modello Macron. A luglio, poco prima del patatrac di governo, Matteo Salvini aveva trucescamente ricordato a Macron che “Napoleone non esiste più”, che “l’Italia non prende ordini dalla Francia” e che “gli italiani non sono più disponibili a essere schiavi di nessuno”. E precedentemente l’altro ex vicepremier, Luigi Di Maio, subito dopo aver fatto il tifo per degli esagitati in gilet disposti a sfidare il presidente francese a colpi di ruspa nei portoni dei ministeri, aveva accusato la Francia di essere responsabile dell’impoverimento dell’Africa, aveva accusato Macron di essere responsabile degli sbarchi dei migranti in Italia, aveva minacciato la Francia di voler fottere l’Italia sulla Tav e aveva persino costretto il governo francese a richiamare a casa l’ambasciatore a Roma, in seguito “agli attacchi senza precedenti del governo italiano”.

 

Per mesi la Francia di Macron, per i populisti di governo, è stata quello che l’Italia non doveva essere. Oggi, la Francia di Macron è diventata quello che l’Italia vorrebbe essere. Succede così che Macron, per Conte, non sia più un simbolo da nascondere (l’unica volta che si sono visti in Italia è stato in segreto subito dopo la visita di Macron dal Papa, il 26 giugno di un anno fa) ma sia un alleato da esibire. Succede così che Macron, per Luigi Di Maio, non sia più un nemico da affrontare ma sia un alleato prezioso al punto da essere considerato strategico per permettere al M5s di trovare una casa nel Parlamento europeo. Succede così che il segretario del Pd, Nicola Zingaretti, dopo avere lanciato la sua campagna al congresso del Pd affermando di volersi opporre al modello Macron, oggi considera Macron un prezioso partner con cui ricostruire l’Europa e ridisegnare magari anche i confini del Pse (come suggerisce il vicesegretario del Pd Andrea Orlando nell’intervento pubblicato oggi dal Foglio). Succede così infine che per combattere il nazionalismo salviniano un ex presidente del Consiglio scelga di uscire dal suo partito per tentare di mettersi in cammino, en marche, creando un movimento politico ispirato al partito di Macron.

 

La trasformazione italiana si sta materializzando ovviamente in modo molto italiano, ovvero in modo molto casuale, molto caotico, poco consapevole, con poca convinzione e con poche spiegazioni, e sappiamo bene che le cose senza forma sono quelle che di solito prendono le forme più mostruose. Ma nonostante questo quella che stiamo osservando è una trasformazione vera che si sta manifestando sotto i nostri occhi, in questo preciso momento. E per quanto sia complicata da decifrare, per quanto sia simile a una zattera senza motore che si muove nel mare perché spinta da un vento diverso rispetto a quello precedente, a suo modo, in Europa, la conversione dell’Italia può diventare un modello nella lotta contro il populismo sovranista. La politica del galleggiamento, che è un italianissimo mix composto da parlamentarismo, trasformismo, antisovranismo e capacità di trovare sempre un modo per non sciogliere anzitempo i parlamenti (citofonare Spagna e Israele), è la stessa forma di politica che forse non permette all’Italia di crescere come dovrebbe e di produrre come potrebbe. Ma per quanto il galleggiamento più o meno virtuoso possa essere considerato un vizio del nostro paese bisogna anche riconoscere che è proprio grazie al soffice fluttuare che negli ultimi anni l’Italia è riuscita a evitare alcune tragedie politiche con cui hanno dovuto fare i conti paesi meno fluttuanti del nostro.

 

E’ grazie al galleggiamento che l’Italia non si è ritrovata nelle stesse condizioni in cui si trova oggi il Regno Unito alla prova con la follia della Brexit (Dio benedica il governo di svolta). E’ grazie al galleggiamento che l’Italia non si è ritrovata nelle stesse condizioni in cui si è trovata la Francia alle prese con i gilet gialli (i gilet gialli l’Italia non li aveva in piazza ma li aveva al governo ed è stato il confronto con la realtà a portarli al fianco dei nemici dei gilet gialli). E’ grazie al galleggiamento che l’Italia non si è ritrovata nelle stesse condizioni in cui si è trovata la Spagna alle prese con l’indipendentismo catalano (Dio benedica i loffi referendum sull’autonomia). E’ grazie al galleggiamento infine che l’Italia non si è mai ritrovata nelle condizioni di rimettere in discussione come è successo in Grecia il proprio rapporto con l’Unione europea (Dio benedica lo spread). Ci sono modi molto diversi per mettere a fuoco la discontinuità presente all’interno del governo CoReDiZi (Conte-Renzi-Di Maio-Zingaretti). Ma quello forse più efficace, e anche più spassoso, è mettere di fronte allo specchio ciò che per l’Italia Macron rappresentava un anno fa e ciò che rappresenta oggi. Non si sa bene come ma la pazza zattera italiana in questo momento va nella direzione giusta. E chissà che per il governo di svolta avere a bordo un partitino ispirato al modello Macron non permetta al comandante di svoltare davvero e affrontare il mare con un piccolo motore al posto delle vele. Nell’attesa di avere un nostro Macron (e di avere un sistema elettorale che ce lo possa permettere) per il momento possiamo accontentarci e tenerci stretti senza fare troppo gli schifiltosi i nostri piccoli Micron.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.