18 maggio 2019, Matteo Salvini a Milano sul palco con i rappresentanti dei partiti sovranisti candidati alle Europee (foto LaPresse)

I sovranisti però in Estonia vanno forte

Claudio Cerasa

Tonfo in Austria, conversione italiana, Europa che va. Il riflusso non c’è (occhio a Boris) ma chi aveva scommesso sull’onda nazionalista oggi è lì a leccarsi le ferite. L’eccezionalismo europeo e la necessità per gli estremisti di riformattare se stessi

Avevano detto che avrebbero governato da soli, che avrebbero conquistato l’Europa, che avrebbero intercettato un nuovo vento, che avrebbero cambiato gli equilibri di un intero continente. E invece no. E invece Kurz. Riavvolgiamo il nastro e andiamo con ordine. La vittoria a valanga, in Austria, dei popolari guidati da Sebastian Kurz, 38,4 per cento, quasi sette punti in più rispetto alle ultime elezioni, con il conseguente e sorprendente ridimensionamento dei nazionalisti del Fpö, 17,3 per cento, quasi nove punti in meno rispetto alle ultime elezioni, sono le immagini più recenti di una pellicola che da troppo tempo in molti fingono di non vedere e che un bravo regista potrebbe forse provare a inquadrarla così: l’eccezionalismo europeo.

 

Ci si può girare attorno quanto si vuole ma dal 2016 a oggi, anno della maledetta Brexit, in Europa non c’è stata una sola elezione di una grande nazione in cui le forze anti sistema siano riuscite a trovare nelle urne lo stesso spazio trovato sui giornali. E, Italia a parte, tra i grandi paesi europei, dalla Spagna al Portogallo passando per la Francia, la Germania, la Danimarca, il Belgio, la Grecia, l’Olanda e l’Austria, non c’è stato un solo caso in cui un partito sovranista, nazionalista, anti sistema e anti europeista sia riuscito a ottenere un numero di voti tale da determinare un’onda d’urto in tutto il resto d’Europa. Parlare di un riflusso è ovviamente prematuro, considerando chi governa il Regno Unito e chi guida i sondaggi in Italia, ma tutti coloro che avevano scommesso sull’inevitabile arrivo in Europa di una travolgente onda nazionalista oggi sono costretti a leccarsi le ferite e a fare i conti con la realtà.

 

L’onda non c’è stata, la marea non si è alzata e se volessimo infierire potremmo dire che rispetto alla grande manifestazione convocata a maggio a Milano dalla Lega di Matteo Salvini gli unici a essersi salvati dai flutti dell’anti sovranismo sono i nazionalisti appartenenti a un piccolo partito di un piccolo paese: gli estoni di Ekre, i soli sovranisti europei presenti in piazza a Milano a essere ancora al governo di un paese europeo, seppure a fianco di un partito alleato in Europa con l’Alde presidiato dagli amici di Macron. In quell’occasione, in quella piazza, tra i partiti di governo – non c’era il partito di Orbán, idolo dei sovranisti di mezza Europa, ma oggi alleato in Europa con Macron via Ppe – vi era anche la Lega, che sappiamo la fine che ha fatto, vi era anche l’Fpö, che sappiamo la fine che ha fatto, e vi erano poi altri partiti che non hanno ottenuto in Europa i risultati che Salvini si aspettava: i bulgari di Volya hanno ottenuto il 3,6 per cento alle europee, e non sono neppure entrati in Parlamento esattamente come gli slovacchi di Sme Rodina, rimasti fuori dal Parlamento, meno fortunati dei belgi di Vb, entrati in Europa con tre parlamentari, meno fortunati dei cechi di Freedom and Direct Democracy e dei finlandesi di Fp, entrati in Parlamento europeo con ben due seggi, e degli estoni di Ekre e dei danesi di Df, entrati in Parlamento europeo con un seggio.

 

La mancata onda sovranista, oltre ad aver cambiato le carte in tavola a Putin, costretto ora a scommettere sul dialogo con i nemici e non su quello con gli amici, ha prodotto il più europeista dei parlamenti possibili, ha generato la più europeista delle commissioni possibili, ha innescato la trasformazione italiana e ha portato l’Austria a sbarazzarsi del nazionalismo putiniano con scalo a Ibiza. Ci sarebbero i cugini salviniani del Front national, ora Rassemblement national, arrivati primi alle europee, in Francia, come la Lega, in Italia, ma sono ancora distanti anni luce dal governo del paese, e sono alle prese con un tentativo molto complicato di riformattare il proprio estremismo, al punto che la nipote di Marine Le Pen, Marion Maréchal, ha scelto di rinunciare al nome della zia per non macchiare di estremismo il suo impegno in politica.

 

In Europa, in altre parole, l’estremismo non paga, l’identitarismo non funziona, il nazionalismo non sfonda e per molti partiti anti sistema il grande tema dei prossimi mesi sarà studiare un modo per dare un tocco di presentabilità a una politica impresentabile. In Francia, Marine Le Pen ha abbandonato la battaglia anti euro e ha messo in campo una strategia finalizzata a conquistare anche pezzi di elettorato moderato delusi dagli eredi del gollismo. In Italia, la Lega di Salvini sa di dover prendere una strada simile, sa di dover rivedere le sue idee sull’euro, sa di dover rivedere forse alcune idee sull’Europa, sa di dover rivedere forse alcune idee sull’appartenenza al Partito popolare ma non sa ancora in che modo farlo, non sa come comunicarlo ad alcuni compagni di viaggio, non sa ancora come ammettere anche a se stessa che il nazionalismo può funzionare se si prova a convocare una piazza ma non funziona quando si prova ad avvicinarsi al governo. Raphaël Enthoven, formidabile filosofo francese di cui il Foglio si occuperà sul giornale di domani, pochi giorni fa è stato invitato a parlare sul palco alla convention di Marion Maréchal e ha rivolto al pubblico che lo stava ascoltando un invito accorato: “Dovete smetterla. La nostalgia non è un progetto. Promettere di tornare indietro è il modo peggiore per avvicinarsi al futuro”. Forse sarebbe l’ora che anche i sovranisti italiani ascoltassero un loro Raphaël Enthoven per guardare al futuro senza più nostalgia delle sciocchezze del passato.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.