Paolo Gentiloni (foto LaPresse)

La garanzia Pd in Europa

A Bruxelles Gentiloni non sarà un commissario commissariato

Renzo Rosati

La collaborazione con Dombrovskis e le deleghe date da von der Leyen assegnano una missione pro crescita

Roma. Ci sono due modi per inquadrare la nomina di Paolo Gentiloni a commissario europeo per gli Affari economici e finanziari. Il primo è minimalista: Gentiloni dovrà, come detto dalla presidente della Commissione Ursula von der Leyen, “collaborare in una combinazione intelligente di punti di vista diversi con il vicepresidente Valdis Dombrovskis”. Il lettone Dombrovskis è vicepresidente esecutivo, cioè un superiore in grado, è anche lui un ex premier, appartiene al fronte rigorista del nord Europa e viene facile dire che Gentiloni sarà marcato a uomo, se non commissariato. E’ in realtà la stessa situazione già vissuta dal francese Pierre Moscovici, sempre con Dombrovskis, che però nel suo mandato 2014-2019 commissariamenti non ne ha subiti, benché il suo partito, il Ps, a differenza del Pd tornato al governo, sia scomparso dai radar, sia arrivato il ciclone Emmanuel Macron, vero vincitore della partita di nomine europee.

  

 

Il secondo modo di valutare la nomina parte dalle deleghe attribuite a Gentiloni. Si tratta di cinque punti; al primo “la preparazione del semestre europeo sulle tematiche di crescita sostenibile anche dal punto di vista ambientale”, ormai un must; al secondo “il focus su ulteriori approfondimenti dell’unione economica e monetaria” nonché la richiesta “di applicare il Patto di stabilità e crescita usando l’intera flessibilità permessa dalle regole. Questo ci permetterà di realizzare una linea di bilancio nell’area euro più favorevole (friendly) alla crescita e di stimolare gli investimenti salvaguardando la responsabilità di bilancio”; al terzo punto di “assicurare all’Europa la resistenza a choc derivanti da nuove crisi economiche” fermo restando che “gli alti debiti nel settore pubblico e privato costituiscono un fattore di rischio ed è necessario persuadere i governi a ridurli”; quarto punto, “la guida del progetto per uno Schema di assicurazione europea contro la disoccupazione”, un’innovazione della nuova commissione. E quinto e ultimo, “il coordinamento del lancio del futuro programma europeo di investimenti”; un’altra priorità di Ursula von der Leyen.

 

 

Dunque le deleghe sono molte e importanti, soprattutto le ultime due dovrebbero essere il fiore all’occhiello della nuova Commissione e stanno a cuore alla Germania oggi in stagnazione. Secondo quanto risulta al Foglio, lo stesso Gentiloni ritiene che siano maggiori di quelle attribuite nel 2014 a Moscovici. Anche se il contrasto tra nord e sud Europa rimane, e l’Italia resta osservata speciale. Del resto, come fa notare un navigato insider di Bruxelles, la svolta filoeuropeista del governo rossogiallo è molto recente, le due ultime commissioni (Ollie Rehn agli Affari economici con Barroso e Moscovici con Juncker) hanno avuto a che fare con l’Italia berlusconiana, montiana, lettiana, con il vago ribellismo antieurocrati renziano, con il rientro nei ranghi gentiloniano, con l’antieuropeismo dichiarato di Salvini & Di Maio.

 

“L’Italia ha avuto spesso un atteggiamento volatile”, ha scritto ieri Moody’s confermando il rating Baa3. La nomina a ministro dell’Economia di un europeista esperto come Roberto Gualtieri, ex presidente della Commissione Economica e monetaria dell’Europarlamento, preceduta dall’elezione di David Sassoli alla presidenza dello stesso Europarlamento, all’indicazione di Gentiloni, alla designazione agli Affari europei di Enzo Amendola, esperto in dossier difficili sono tutte operazioni targate Pd, partito europeista. Così come i socialisti europei, a cui il Pd appartiene, sono maggioritari, 11 su 27, nella nuova commissione. Vedendola così la nomina di Gentiloni è un successo dell’Italia e un successo del Pd. Non saranno srotolate guide rosse, perché come ha detto al Foglio l’ex ministro Pier Carlo Padoan “la procedura per debito aperta contro l’Italia era molto più grave di quella per deficit che ha riguardato anche altri”. Moody’s prevedendo una crescita nel 2019 solo dello 0,2 per cento stima un rapporto debito/pil in salita al 133 e al 133,6 nel 2020. E questo per Gentiloni sarà “il” problema tecnico e politico.