Ursula von der Leyen (foto LaPresse)

Le scelte di Ursula von der Leyen sui commissari

David Carretta

Con chi se la prenderà il Parlamento europeo? Intanto inizia con la “european way of life”

Bruxelles. Con la pubblicazione ieri del calendario ufficiale delle audizioni dei membri designati della Commissione di Ursula von der Leyen, al Parlamento europeo inizia un vecchio gioco: il tiro al commissario. Ma questa volta, se non sarà tenuto sotto controllo, rischia di trasformarsi in un boomerang per le forze europeiste. Il gioco funziona più o meno così: ciascun grande gruppo politico prende in ostaggio alcuni commissari degli altri, tenendoli come moneta di scambio per liberare i propri. Ogni scusa è buona: sospetti di corruzione, conflitti di interesse, dichiarazioni controverse, decisioni prese in ruoli di governo. Per un mese Partito popolare europeo (Ppe), Socialisti&Democratici (S&D) e liberali di Renew Europe (Re) si guardano in cagnesco. Poi decretano il “liberi tutti”, tranne un candidato che ha fatto clamorosi errori o dimostrato chiara incompetenza nelle audizioni, che diventa la vittima sacrificale per affermare l’influenza dell’Europarlamento sulla nuova Commissione. Ma con la squadra von der Leyen le cose sono più complicate. Al momento sono sei i commissari designati che potrebbero essere presi in ostaggio per guai di carattere politico o giudiziario. Nella lista ci sono personalità marginali, ma anche pesi massimi come la francese Sylvie Goulard. Dopo aver ottenuto la fiducia con appena 9 voti di margine, un errore di calcolo potrebbe costare caro a von der Leyen in vista del voto di conferma il 23 ottobre. Socialisti, liberali e Verdi minacciano già di bocciare l’intera Commissione se non verrà cambiato il nome al portafoglio del vicepresidente alla “protezione del nostro modo di vivere europeo” che comprende l’immigrazione. 

 

 

Le vittime sacrificali più probabili sono l’ungherese László Trócsányi (Allargamento), il polacco Janusz Wojciechowski (Agricoltura) e la romena Rovana Plumb (Trasporti), anche solo per il fatto di essere stati nominati da governi euroscettici. Da ministro della Giustizia di Viktor Orbán, Trócsányi ha contribuito a minare i contropoteri e il suo studio di avvocati avrebbe ricevuto contratti dal governo. Wojciechowski è stato messo sotto inchiesta dall’Olaf (l’ufficio contro le frodi dell’Ue) per rimborsi spese irregolari quando era deputato europeo. Plumb è rimasta coinvolta in scandali finanziari e ha fatto immatricolare la sua Audi in Bulgaria per evitare di pagare una tassa ecologica che lei stessa aveva istituito. Ma tra i potenziali ostaggi ci sono anche tre personalità di chiara fede europeista, molto apprezzate dall’Europarlamento. La liberale Goulard (Mercato interno) è sotto indagine dell’Olaf e della magistratura francese per aver pagato con i fondi dell’Europarlamento persone che non lavoravano per lei quando era eurodeputata. Goulard ha rimborsato 45 mila euro, ma nel frattempo fa discutere una sua consulenza da 10 mila euro al mese per il think tank Berggruen Institute. Il liberale belga Didier Reynders (Giustizia) è oggetto di un’indagine preliminare della procura belga per presunta corruzione. La socialista portoghese Elisa Ferreira (Coesione) ha un marito che è responsabile dell’organismo che ripartisce i fondi strutturali dell’Ue nel nord del Portogallo.

 

Il gioco del tiro al commissario è iniziato nel 2004, con la bocciatura di Rocco Buttiglione come commissario alla Giustizia nel primo esecutivo di José Manuel Barroso per aver ammesso che “come cattolico” considera “l’omosessualità un peccato”. Nel 2009 la Bulgaria fu costretta a ritirare Rumjana Zeleva, che i deputati avevano messo sotto tiro per presunti legami con ambienti mafiosi. Nel 2014 l’Europarlamento rifiutò l’ex premier slovena, Alenka Bratušek, e obbligò Juncker a modificare le competenze dei commissari. Cinque anni fa anche il francese Pierre Moscovici e lo spagnolo Miguel Arias Cañete vennero presi in ostaggio, salvo essere liberati dopo uno scambio di prigionieri tra Ppe e S&D. Paradossalmente, è proprio la polemica sul portafoglio alla “protezione del nostro modo di vivere europeo” che potrebbe salvare von der Leyen. Finora la presidente eletta della Commissione ha tenuto duro, riuscendo a distrarre l’Europarlamento dai guai dei commissari designati. Nelle riunioni a porte chiuse von der Leyen ha lasciato intendere di essere pronta a una marcia indietro dopo le audizioni. Sacrificare il “modo di vivere europeo” potrebbe essere un prezzo che vale la pena pagare per tenere quasi intatta la sua squadra.