Per la normalizzazione del senatore Salvini
Da solo non vince più. Avrà bisogno di ripensare il tipo di polarizzazione che ha incarnato nell’orgia dei talk-show. E la lezione può servirgli per dimenticare il peggio di sé
Un obiettivo sensato dovrebbe essere la normalizzazione politica del senatore Salvini. Quelli che la fulminea piroetta contro il Truce non si doveva fare per ragioni di principio passeranno adesso il loro tempo un po’ ipocrita a spalmare sul paese la paura del grande ritorno, e ogni fesseria del governo pasticciato verrà descritta come una porta aperta alla eterna ripetizione dell’identico (crocefissi come portachiave, porti chiusi ai naufraghi e a chi li raccoglie, linguaggio da trivio, ducismo caricaturale in divisa militare, torsonudismo e bullaggine da spiaggia eccetera). Si attendono l’eventuale vittoria di BoJo a Londra sulla Brexit e la possibile rielezione di Trump alla Casa Bianca per rilanciare, magari sull’onda di una strisciante recessione e di una cronica instabilità europea franco-tedesca, il potenziale nazipop come lo abbiamo conosciuto in Italia: chiassoso, anzi detonante. Si attendono gaffe, pasticci e narcisismi del nuovo potere di Giuseppi e dei suoi fratelli, tutte cose che non mancheranno, per rilanciare lo squallore anticasta, puntare su divisioni e friabilità di un’alleanza che è un rimedio, facendola passare come una svolta strategica e una riforma della sinistra, per poi liquidarla come un “amalgama mal riuscito” (la specialità in simili bestialità è dell’onorevole D’Alema). Sento già il sibilo serpentino di una velenosa querelle sull’eutanasia, questione sulla quale l’unica parola d’ordine sensata è “nessuna legge su un tema non legiferabile”, le questioni di etica e deontologia della medicina e della cura di sé degli umani non sono doveri né diritti né tantomeno slogan per apprendisti stregoni, sono problemi da dirimere con saggezza e discrezione nella zona grigia in cui si è, appunto, fra la vita e la morte. No megafoni al capezzale.
Lo schema della normalizzazione del senatore non è così campato per aria come si vorrebbe far credere, in certi casi per vendetta sulla sconfitta dei votosubitisti e per gola: “Ah, che bello un paese ingovernabile, imprevedibile, appeso al caciocavallo del bullismo”. Il senatore ha dato un esempio di scuola di come non si deve fare politica, è entrato nel male e non ne è più uscito fino a che non lo hanno malamente buttato fuori approfittando lestamente di un suo errore blu. Certo, lasciare i modi che ancora offendono le persone sensate è per lui un rischio, perché il suo consenso era il prodotto di un’ondata di rancore, frustrazione, rabbia e di vecchie illusioni bassomussoliniane. Ma il senatore Salvini deve pur fare un pensierino sul quadro generale, l’Europa e la sua moneta, i magistrati nella divisione dei poteri, i sindaci e i governatori anche leghisti, le forze dell’ordine con la schiena dritta (guardia costiera), Lady Spread, un comportamento non sempre e non solo umiliante di stampa (e tv, no la tv no), e su un che di grottesco (ben segnalato da Twitter) che sempre accompagna le grandi avventure di destino. Deve pur dedicare attenzione a mutamenti di tono e di mentalità che sono nel profondo non solo di un paese cattolico (anche senza simboli religiosi goffamente ostentati), ma almeno di un paese cattolico nel senso etimologico del termine, universale, globalizzato dal tempo dell’impero costantiniano e della Cristianità medievale e poi del Rinascimento (insomma da sempre). Ecco, non scommetterei che il Nostro sia completamente abbrutito dal suo Ego e che la lezione non gli possa servire, non dico per mettere la grisaglia cosmopolita e professionale, ma almeno per dimenticare il peggio di sé (tutti abbiamo un peggio del nostro sé sempre in agguato, ma non è impossibile liberarsene). Aiuterebbe il processo, naturalmente, anche un ridimensionamento e un imbellimento del carattere di una polemica che a buon diritto ha tracimato, lasciamo perdere l’insulto, nella delegittimazione personale, che era quello che Salvini chiedeva ogni giorno: si può essere critici irremovibili e demolitori del senatore deposto da ministro dell’Interno senza cantare a ogni angolo Bella ciao e senza usare le banali sciabolate di un Saviano (il miglior nemico di qualunque Truce).
Da solo non vince più. Questo è il primo punto politico. Il plebiscito è una cosa seria, e miserabile, ma non è passibile di ripetizione ad libitum, non è una serie televisiva. Avrà bisogno di alleanze, e nel giro di Berlusconi si è mosso qualcosa di nuovo e di serio, la critica del sovranismo ingenuo. Avrà bisogno di ripensare il tipo di polarizzazione che ha incarnato nell’orgia del talk-show, ora che come ha notato il formidabile Minuz la politica ha saputo per una volta essere più rapida dell’informazione da sbarco televisivo. Saprà valutare il fatto che i suoi interlocutori in Europa sono un flatus vocis, che il lepenismo e l’AfD e Visegrad si sono manifestati come incubi dell’isolamento. E che Putin, e chissà come è andata la rivelazione assassina degli affari del Metropol, è un osso duro anche per chi gli è seguace ingenuo o troppo scaltro (per non parlare dell’amicone di Giuseppi). Insomma, senza nemmeno passare per la disillusione interna alla Lega e per le tante promesse che non ha potuto mantenere verso le mani tese della stagione delle nomine (la riconoscenza del ruffiano medio Rai non basta), è evidente che il senatore Salvini quel pensierino dovrà pur farlo. E che chi ha amore non esibizionistico per la democrazia liberale e per l’umanitarismo sorvegliato e non narcisista, ecco, questo tipo di italiano ha tutto l’interesse a vedere nei prossimi mesi di fronte a sé un senatore ex Truce non dico in grisaglia, non chiedo tanto, ma almeno non a torso nudo e non in divisa da paracadutista.
La prossima Commissione