La differenza tra polli e complotti. Storia segreta del capitombolo politico di Salvini
Ma come ha fatto il leader della Lega a passare in 29 giorni da padrone d’Italia a padrone dell’opposizione? Tre passaggi non noti spiegano in che momento (e perché) Salvini è diventato ostaggio del suo stesso estremismo
Quella che state per leggere è la storia di un grande mistero politico che per tutto il mese di agosto ha catturato l’attenzione di molti italiani e che nel corso della giornata di oggi tornerà in qualche modo a farsi strada nella testa di tutti coloro che si chiederanno come è stato possibile arrivare alla situazione di oggi. E la situazione è quella che sappiamo: un mese fa Matteo Salvini era il padrone d’Italia, e guidava un governo dal basso del suo 17 per cento in Parlamento, oggi Matteo Salvini è lo sconfitto d’Italia, dall’alto del suo 33 per cento conquistato alle europee. La domanda che in molti si sono posti negli ultimi giorni è come sia stato possibile questo capitombolo politico e come è stato possibile che Matteo Salvini da uomo forte del Palazzo sia diventato l’uomo che insieme con Giorgia Meloni manifesta fuori dal Palazzo contro un governo nato grazie a un’iniziativa politica proprio di Matteo Salvini. Il leader della Lega, così racconta agli amici, così raccontano i suoi simpatici velinari, è convinto che contro di lui sia stato organizzato un colpo di mano da parte dei poteri forti, è convinto che contro di lui abbiano complottato le cancellerie europee, è convinto che contro di lui abbiano complottato i grandi investitori internazionali. La storia dello scacco matto a Salvini, in realtà, non è la storia di un complotto ma è una storia che non si può capire senza mettere insieme alcune date che abbiamo appuntato sul nostro taccuino questa estate insieme ad alcuni episodi non noti.
La prima data è quella del 18 luglio: Giancarlo Giorgetti, allora sottosegretario alla presidenza del Consiglio, sale al Quirinale e nel comunicare al presidente della Repubblica la sua intenzione di non accettare l’incarico di commissario europeo che il governo gli avrebbe voluto dare chiede e riceve dal capo dello stato una garanzia rispetto a uno scenario futuro: le possibili elezioni anticipate. Sergio Mattarella lascia intendere a Giancarlo Giorgetti che le elezioni non avrebbero rappresentato un tabù per il Quirinale e che il capo dello stato non avrebbe per nessuna ragione forzato la mano per cercare a tutti i costi un’altra maggioranza in Parlamento e che in caso di rottura della maggioranza si sarebbe preoccupato unicamente di nominare un governo transitorio per accompagnare il paese al voto, non potendo affidare il compito di gestire le procedure elettorali a un ministro dell’Interno che è anche capo politico di un partito. Giorgetti comunica le intenzioni del capo dello stato a Matteo Salvini il quale decide di ritardare la rottura con il Movimento 5 stelle ancora di qualche giorno: bisogna scavallare il 5 agosto e prima di andare a votare bisogna aspettare che il Parlamento converta in legge il decreto sicurezza bis.
Il giorno dopo, il 6 agosto, Matteo Salvini telefona a Silvio Berlusconi e gli anticipa di tenersi pronto: il leader della Lega ha deciso di far cadere il governo sulla Tav e di voler andare a votare senza rinunciare al centrodestra unito. Due giorni dopo, siamo all’8 agosto, la Lega vota insieme con il Pd al Senato sulla Tav e il giorno dopo Matteo Salvini diffonde una nota in cui chiede di andare “subito in Parlamento per prendere atto che non c’è più una maggioranza, come evidente dal voto sulla Tav”. Quello che non si sa è che tra il 6 e l’8 agosto Matteo Salvini non parla solo con l’entourage di Silvio Berlusconi ma parla anche con l’entourage del leader del Pd Nicola Zingaretti, al quale il leader della Lega pone una domanda semplice: se dovessi rompere con il M5s mi garantisci che il Pd farà quello che ha promesso finora e che non farà accordi con il M5s? Il leader del Pd, per due volte, fa sapere a Matteo Salvini di non avere alcuna intenzione di fare un governo con il M5s e così l’allora ministro dell’Interno fa tre più tre: Mattarella mi ha promesso che andare a votare si può, Zingaretti mi ha detto che andare a votare si può, Berlusconi mi ha detto che andare a votare per lui va bene, dunque rompere si può, e rompere sulla Tav dopo aver approvato il decreto sicurezza mi permette di avere una campagna elettorale semplice e lineare. E’ possibile che Matteo Salvini abbia voluto accelerare per paura di imminenti inchieste giudiziarie ed è possibile che il coraggio trovato da Giuseppe Conte nei confronti del suo ex vicepremier sia anche legato al fatto che il presidente del Consiglio italiano avendo la delega sui Servizi sa probabilmente cose che forse non sa neppure Salvini. Ma più che concentrarci sui dettagli poco significativi della crisi di governo, concentriamoci sulla ciccia: la verità è che Matteo Salvini ha scelto di andare a votare non perché in preda a un delirio di onnipotenza (o almeno, non del tutto) ma perché era convinto che votare sarebbe stato semplice.
Tre giorni dopo però cambia tutto: siamo all’11 agosto e Matteo Renzi rilascia al Corriere un’intervista in cui dà voce alla maggioranza dei gruppi parlamentari, sia del Pd sia del M5s. Renzi invita il Pd a costruire una maggioranza con il M5s per evitare l’aumento dell’Iva (dunque Renzi propone un governo a tempo, rapido) e apre una strada alternativa a quella immaginata dal segretario del Pd (convinto che andare a votare sarebbe stata la strada giusta per sfidare Salvini senza paura, per conquistare i voti del M5s e per avere in Parlamento un Pd più a sua immagine e somiglianza). Lo stesso 11 agosto Zingaretti ribadisce il suo no, “francamente no”, a un accordo con il M5s introducendo però una variante al suo no: il no del Pd, dice Zingaretti, è un no al “sostegno a ipotesi pasticciate e deboli”. Poche ore dopo, Matteo Salvini elogia il segretario del Pd rilasciando la seguente dichiarazione: “In questo momento mi sembra molto più coerente Zingaretti: tutto il Pd ha insultato per un anno Di Maio, Conte, Fico, è coerente dire che dopo questo governo c’è il voto. Se comanda sempre Renzi nel Pd? L’intervista oggi l’ha fatta lui, però c’è un segretario di partito che conto rispetti la democrazia”.
La storia poi è nota e i vertici del Pd capiscono di essere in un certo senso costretti a tentare di dialogare con il M5s il 20 agosto, quando nel corso del dibattito al Senato in cui Giuseppe Conte prende a schiaffi Matteo Salvini il senatore semplice Matteo Renzi fa capire ai vertici del Pd che in caso di voto anticipato l’accusa nei loro confronti sarebbe stata molto dura: “Ministro Salvini, lei può vincere la sua sfida e portare a votare il paese e nel caso questo avvenisse sarebbe con l’accordo (non dico connivenza) di una parte importante del nostro schieramento”. Connivenza.
Il resto della storia è noto, se non fosse per un passaggio raccontato il 28 agosto, alla fine di una trasmissione televisiva, dall’ex ministro Gian Marco Centinaio, secondo il quale alcuni renziani (Centinaio lo racconta, ma su questo non abbiamo prove) lo avrebbero avvicinato, subito dopo l’8 agosto, chiedendo se la Lega avrebbe preso in considerazione o no l’ipotesi di un appoggio esterno del Pd a un governo di centrodestra (scenario poco verosimile, possibile semmai che i renziani abbiano dato segnali a Salvini di non volersi alleare con il M5s per poi tendergli un trappolone). Tutto questo, si dirà, per dire cosa? Per dire che nella sconfitta di Matteo Salvini non c’è alcun complotto, non c’è alcuna congiura, non c’è alcuna cospirazione, non c’è alcuna macchinazione (il capo dello stato ha fatto di tutto per fare in fretta anche per dimostrare di non essere stato lui il motore del cambiamento del governo) ma c’è solo la storia di un leader politico che ha pensato di poter ottenere i pieni poteri prescindendo dalla volontà del Parlamento (Zingaretti non voleva votare ma ha sempre detto di volere l’unità del partito e se Salvini conoscesse meglio i partiti che combatte avrebbe capito in un istante che l’unità del Pd sarebbe stata possibile mantenerla solo con un accordo di legislatura con il M5s) e che ha pensato di poter vincere in un qualsiasi contesto politico il referendum su se stesso senza preoccuparsi di aver creato invece lui stesso, a colpi di scemenze sull’euro, sull’Europa, sulla Russia, le condizioni per perdere quel referendum. Salvini si trova all’opposizione non perché qualcuno ha tramato contro di lui ma perché Salvini ha fatto di tutto per rendere il salvinismo estremista incompatibile con la difesa di una democrazia liberale. E se il senatore semplice Salvini non metterà da parte il suo estremismo non sarà facile fare opposizione a un governo che nel peggiore dei casi (e sarà dura) farà quello che è già stato fatto dal governo guidato da Salvini. Popcorn.