Massimo D'Alema (foto LaPresse)

L'allegra ombra di D'Alema sul “governo di svolta” del BisConte

David Allegranti

Il dalemismo si impone ancora al Mef: Gualtieri, dopo Padoan. Ma gli allievi dell’ex premier fioccano (anche tra i renziani)

Roma. L’ombra di Massimo D’Alema non è soltanto una pagina satirica su Facebook (sempreverde come l’“ipotesi Amato”, nel senso di Giuliano, che spunta in ogni trattativa tra riservisti della Repubblica).

 

Basta guardare il curriculum politico dei nuovi ministri del governo giallo-rosé per accorgersi che il dalemismo ha fatto scuola e lasciato una corposa eredità anche nel 2019. Non a caso, forse, a metà agosto parlando con il Foglio l’ex presidente del Consiglio aveva benedetto l’accordo: “Bisogna capire non se si possa fare, ma ragionare se sia sostenibile per una legislatura. La s-o-s-t-e-n-i-b-i-l-i-t-à. Questo è il problema”. E qualche giorno fa ha aggiunto in un’intervista al Corriere che con l’avvio della trattativa fra Pd e Cinque stelle “si è imboccata una strada che era naturale fin dall’inizio”. Non una novità, a dire il vero, visto che D’Alema da sempre teorizza la continuità fra sinistra e grillini (come noto i Cinque stelle sono compagni che sbagliano, così come la Lega era una costola della sinistra). La novità vera è che anche il Pd, dopo aver molto sghignazzato sulle sortite del Conte Max, si è trovato proprio lì insieme ai grillini per un “governo di svolta” nel quale la storia di D’Alema è ben presente. Per la terza volta di seguito da quando c’è un esecutivo al quale partecipa anche il Pd, il ministero dell’Economia finisce a un politico con una lunga esperienza nella Fondazione ItalianiEuropei, il centro culturale del dalemismo, che pubblica anche un’omonima rivista. Prima c’è stato Pier Carlo Padoan, ministro nei governi Renzi e Gentiloni, adesso tocca a Roberto Gualtieri, che proviene dalla sinistra romana, ha fatto parte della direzione nazionale dei Ds in quota D’Alema e dal 2009 al 2014 è stato membro del comitato di redazione di ItalianiEuropei.

 

Ma anche altri ministri del governo hanno solide radici dalemiane. Pensate al nuovo ministro degli Affari Europei Enzo Amendola, già responsabile Esteri della Sinistra Giovanile, già membro della segreteria nazionale dei Ds nel 2006, anno in cui D’Alema diventò ministro degli Affari esteri nel governo di Romano Prodi, e membro del comitato promotore della sede di Napoli, la sua città, di ItalianiEuropei (che oggi non esiste più, così come quella di Milano). E ancora: Giuseppe Provenzano, vicedirettore dello Svimez, responsabile Lavoro del Pd e neo-ministro del Sud, era nel comitato di redazione della rivista ItalianiEuropei.

 

C’è poi Roberto Speranza, ministro della Salute, segretario di Articolo 1, che con D’Alema ha condiviso il brindisi per la sconfitta di Renzi al referendum costituzionale del 2016 e l’addio al Pd per fondare Mdp senza però ottenere grandi successi elettorali con Leu alle elezioni del 2018.

 

Quello di Speranza è un ritorno inaspettato, ma neanche troppo. Il leader di Articolo1 da tempo è stato indicato come l’erede della tradizione bersanian-dalemiana e, vista la composizione del governo, è perfino naturale che ne faccia parte.

 

Tutto qui? In effetti già così non è poco ma a essere precisi pure Teresa Bellanova, neo ministro alle Politiche agricole, che è oggi è una renziana molto agguerrita e molto amata dalla base leopoldina, ha un passato tra gli adepti del dalemismo che, come noto, “è una religione” più che un pensiero politico. L’anno scorso alle elezioni politiche sfidò il “guru” nel collegio uninominale Puglia 6 del Senato, nel cuore del Salento, ma tanti anni fa – erano i primi Duemila – Bellanova fece il salto dalla Cgil alla politica con i Ds proprio grazie alla regia del Conte Max.

 

Altri tempi, quando ancora non erano cominciate le folgorazioni sulla via di Rignano.

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  • David Allegranti
  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.