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Lo scandalo è Salvini, non Savoini

Claudio Cerasa

Russia, euro, Cina, Europa. Al centro di ogni atto di estremismo politico, economico e diplomatico del governo c’è sempre un leghista a guidare la carovana del cambiamento. Perché un’Italia che si allontana dalle democrazie liberali è più fragile e meno sicura

Lo sputtanamento nazionale con cui deve fare oggi i conti Matteo Salvini non riguarda solo il rapporto del ministro dell’Interno con un uomo che ha chiesto 65 milioni di euro ad alcuni emissari russi per finanziare la campagna anti europeista della Lega. Riguarda qualcosa di più importante e di più profondo che ha a che fare con lo sputtanamento non di un singolo partito ma di un intero paese, che a causa della linea politica di Salvini, e non di Savoini, ha scelto da mesi di rimettere in discussione il sistema di alleanze internazionali all’interno del quale si trova la settima potenza industriale del pianeta.

 

Lo scandalo Salvini, più che Savoini, non riguarda dunque la vicinanza del vicepresidente del Consiglio a un possibile mariuolo, cosa tutta da dimostrare, ma riguarda la vicinanza, esplicita, marcata, evidente, del leader del partito più importante d’Italia a una serie di estremismi da cui il ministro dell’Interno fatica a svincolarsi. Lo sputtanamento di Salvini, e dell’Italia, ha a che fare con la scelta del politico più importante del nostro paese non di affidarsi a Savoini per costruire ponti d’oro con la Russia ma di affiliarsi alla Russia per costruire in Europa ponti d’oro ai nemici dell’Europa. Lo sputtanamento dell’Italia non è dunque legato a una semplice notizia di cronaca giudiziaria (l’indagine per corruzione internazionale ai danni di Savoini). E’ legato a un sentimento molto più profondo al centro del quale vi è la capacità dell’Italia di continuare a essere considerata un partner credibile non solo dai mercati finanziari ma anche dai tradizionali alleati.

 

Nel giro di un anno, l’Italia è diventata un paese guidato da due partiti che (a) hanno messo in discussione l’euro arrivando a piazzare alla presidenza di due commissioni importanti di Camera e Senato due autorevoli esponenti del partito no euro, che (b) hanno portato l’Italia più vicina al triangolo Russia-Cina-Iran e più lontana dal Patto atlantico su crisi internazionali importanti come quella del Venezuela, che (c) hanno rotto l’unità dell’Europa nei rapporti con la Cina portando l’Italia a diventare l’unico paese del G7 ad aver firmato un memorandum con la Cina, che (d) hanno scelto in Europa di votare sistematicamente contro tutte le mozioni finalizzate a chiedere maggiore attenzione alle autorità competenti dei paesi membri relativamente al “possibile riciclaggio di miliardi di euro all’anno attraverso l’Unione europeo da parte di società e individui russi, nel tentativo di legalizzare i proventi della corruzione”. Non è un caso che al centro di ogni atto di estremismo politico, economico e diplomatico portato avanti dal governo ci sia sempre un esponente della Lega a guidare la così detta carovana del cambiamento (Claudio Borghi e Alberto Bagnai sull’euro, Gianluca Savoini sulla Russia, Michele Geraci sulla Cina, Marco Zanni sull’Europa). E la ragione per cui Salvini non riesce a liberarsi da queste forme di estremismo – compreso il grillismo – è che nella Lega salviniana l’estremismo è ormai parte fondamentale di una grammatica sfascista che ha in nome delle logiche anti sistema contribuito a rendere l’Italia un paese più fragile e più vulnerabile.

 

Lo scorso dodici marzo, al Parlamento europeo, la Lega, con il M5s, ha votato “no” a una mozione che invitava le autorità finanziarie competenti dell’Ue “a intensificare la cooperazione reciproca e con i pertinenti servizi di intelligence e di sicurezza, al fine di contrastare le attività di riciclaggio di denaro russe”. Ma una maggioranza che sceglie di emarginarsi e di assomigliare più alla Russia che all’Europa è una maggioranza che fa qualcosa di più che un dispetto ai “burocrati di Bruxelles”. E’ una maggioranza che, semplicemente, rende il proprio paese meno credibile, meno sicuro e più danneggiabile (condividereste o no informazioni di intelligence con un paese che ha scelto di avvicinarsi più alla Cina che all’America?). Lo scandalo non è Savoini ma è Salvini. E forse, per tutti, è arrivato il momento di parlarne davvero.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.