Matteo Salvini (foto Imagoeconomica)

No, non è Salvini l'alternativa allo sfascio

Claudio Cerasa

La bufala della Lega argine anti decrescita nasce dal fallimento dell’opposizione. Perché il partito del pil ha il dovere di investire su un bipolarismo in cui Salvini è parte del problema, non della soluzione. Il caso Minniti, Calenda e un sondaggio

Le splendide immagini degli imprenditori impegnati a mostrare in mezza Italia la propria insofferenza nei confronti delle politiche del cambiamento cozzano con un non detto importante che riguarda un sentimento strabico di cui sono portatori gli stessi industriali indignati con il sovranismo sfascista: l’illusione che l’alternativa al populismo sia da individuare non all’esterno, ma all’interno di questo governo. E la conseguente convinzione che per sbarazzarsi dell’esperimento populista sia necessario investire sul meno peggio tra i due azionisti della maggioranza sovranista.

 

Il non detto che giorno dopo giorno nelle conversazioni tra molti imprenditori diventa sempre meno implicito è legato a un’analisi della situazione politica che suona grosso modo così. Il nemico numero uno del partito del pil è il Movimento cinque stelle e per evitare di far precipitare il paese nell’incubo di una nuova crisi è doveroso fare di tutto per educare alla moderazione l’unico partito che in prospettiva potrebbe essere un’alternativa al governo Toninelli: la Lega. La valutazione è logica se si considera il bipolarismo tra Lega e M5s come il bipolarismo del futuro, ma diventa fuori da ogni logica se si prova a eliminare gli affettati dagli occhi e a guardare la realtà dei fatti.

 

Un imprenditore con la testa sulle spalle dovrebbe capire che essere a parole a favore delle infrastrutture, della Tav, delle grandi opere non è sufficiente per essere considerato l’alternativa di buon senso alla decrescita grillina e chiunque abbia a cuore il futuro dell’Italia dovrebbe sapere che c’è molta differenza tra un politico abile e uno capace. Matteo Salvini, più abile che capace, ha dimostrato di essere un maestro nel distogliere l’attenzione dalle conseguenze delle sue irresponsabili politiche economiche, imponendo nell’agenda delle priorità del paese la lotta contro gli immigrati in difesa dei confini italiani (e il fatto che il ministro dell’Interno negli ultimi giorni abbia scelto di investire di nuovo sull’emergenza immigrazione a fronte di una non emergenza immigrazione è un indizio sullo stato di salute della Salvinomics).

 

Ma ogni azionista del partito dovrebbe anche sapere che negli ultimi mesi colui che ha dato il maggior contributo all’instabilità economica dell’Italia, colui che ha imposto una linea di forte ostilità all’Europa, colui che ha sempre lasciato intendere di considerare l’euro una moneta pericolosa, colui che ha costruito le alleanze politiche con i partiti più pericolosi del Continente, colui che ha investito sull’isolamento dell’Italia nel mondo, colui che ha creato una fitta rete di relazioni con le minoranze politiche che destabilizzano i governi europei, colui che ha trasformato il modello Putin e il modello Orbán nei sogni proibiti del populismo italiano, colui che giocando con lo spread ha messo maggiormente in fuga gli investitori stranieri, colui che investendo sulla revisione della legge Fornero ha messo i conti pubblici del paese a rischio per i prossimi decenni, corrisponde più al profilo del leader della Lega che al profilo del capo del soufflé grillino.

 

Il Movimento cinque stelle – come dimostra anche l’incredibile nonchalance con cui un ministro della Repubblica, il dottor Riccardo Fraccaro, ripete da mesi, lo ha fatto anche ieri, che la democrazia rappresentativa sia un concetto da superare – è certamente un pericolo per la democrazia parlamentare. Ma la Lega, meno pericolosa del M5s sul terreno della democrazia rappresentativa più per merito del partito dei governatori che del partito dei ministri, rappresenta senza dubbio un pericolo su un altro terreno non meno importante della democrazia: la nostra economia. E di fronte a questa banale ma logica considerazione ogni imprenditore di buona volontà dovrebbe rendersi conto che la sfida del futuro non è scegliere il meno peggio tra Salvini e Di Maio. Il punto è un altro: avere il coraggio di investire politicamente ed economicamente su una nuova forma di bipolarismo in cui Salvini non è parte della soluzione ma è parte del problema. Investire su un’alternativa alla cultura della sfascio sarebbe più semplice se le forze dell’opposizione fossero in grado di esprimere una credibile visione alternativa. Ma la verità è che, a 185 giorni dalla nascita del peggior governo avuto dall’Italia dal Dopoguerra, ad aver fallito non è solo il modello del cambiamento populista: è anche il modello dell’alternativa al cambiamento. Se ci si pensa bene il vero deficit di cui sarebbe bene occuparsi – oltre a quello legato al rispetto dei trattati europei – è proprio l’incredibile deficit di competitività mostrato dalle opposizioni. 

 

E il combinato disposto tra la pazza linea di Forza Italia (fare opposizione al governo sfascista promettendo un domani di allearsi con uno dei due azionisti del governo sfascista) e il pazzo congresso del Pd (in Germania la successione ad Angela Merkel, dicasi Angela Merkel, è stata gestita in tre mesi, in Italia, otto mesi dopo la sconfitta del 4 marzo, non sappiamo ancora chi saranno i candidati alla successione dell’ex segretario) ha reso possibile il miracolo che tutti osserviamo oggi: la trasformazione di Salvini nell’alternativa naturale al governo dei matti da legare. Per un imprenditore di buona volontà combattere questo meccanismo significa da un lato fare di tutto per non alimentare la nascita di un bipolarismo populista e dall’altro lato, se non si crede a nessuno dei partiti dell’opposizione, cosa comprensibile, significa investire nella nascita di un nuovo soggetto politico alternativo alle forze di governo e alle forze di opposizione.

 

Serve un’alternativa, con un nuovo volto, sia a questo governo sia a questa opposizione, e il compito numero uno del partito del pil dovrebbe essere questo. Le idee ci sono, la piattaforma c’è, lo spazio c’è e per creare un’alternativa, in assenza di Macron, sarebbe sufficiente persino avere una leadership alla Micron. I leader in giro capaci ci sono – Carlo Calenda, così risulta al Foglio, dopo aver girato con successo l’Italia per il tour del suo libro ha fatto commissionare ad alcuni amici imprenditori un sondaggio per testare la sua popolarità e in caso di risultato soddisfacente è pronto a scendere in campo a gennaio per guidare una lista europeista da presentare alle Europee, anche a condizione di dover fronteggiare il possibile partito di Matteo Renzi, la cui nascita forse imminente è alla radice dei dubbi di Marco Minniti e del passo indietro che dovrebbe essere confermato oggi– ma il problema non è trovare qualcuno su cui investire. Il problema è volerlo e non arrendersi all’unica minaccia politica più pericolosa dell’esperimento sfascista: creare le condizioni per trasformare un sovranista nel vaccino giusto per curare il virus sovranista. Non scherziamo.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.