Leonardo DiCaprio in The Wolf of Wall Street, un film di Martin Scorsese del 2013

Antidoti contro l'elemosina sociale

Giuliano Ferrara

Si può dire tutto e il suo contrario a proposito della crisi del liberalismo e dell’avanzata degli antisistema. Una cosa è certa: la promessa del liberalismo è “arricchitevi, ve ne diamo l’occasione”. E la gente al denaro ci bada

La gente ai soldi ci bada. Marcel Gauchet ha scritto che la linea divisoria oggi passa “tra coloro che non hanno un futuro” e “quelli per cui il futuro non costituisce un problema”. Lo prenderei per buono anche nel giudizio sul carattere della manovra appena inviata dall’Italia nazionalpop, per una pronta bocciatura, alla Commissione di Bruxelles e alle agenzie di rating internazionali. In effetti basta guardare alla Baviera: la disoccupazione è al due per cento, salari e stipendi sono molto alti, industria e infrastrutture e servizi sono vitalissimi. Risultato: gli amici di Salvini dell’AfD sono al dieci per cento, il partito alleato di Merkel perde dieci punti ma è al 37 per cento, la lista conservatrice moderata dei Freie Wähler batte i nazipop e entrerà nel governo non monocolore a dominante Cdu, e i Verdi dell’accoglienza sostenibile e dell’economia sostenibile ma affluente sono quasi al venti per cento a compensazione, diciamo così, della solita batosta presa dalla socialdemocrazia di governo, come ovunque in Europa (a confronto di Germania e Francia il Pd se la passa benone, il che è tutto dire). La gente ai soldi e al lavoro ci bada.

  

Si può dire tutto e il suo contrario a proposito della crisi del liberalismo e dell’avanzata degli antisistema. Una cosa però è certa, solida, irrefragabile. La promessa in tutti i tempi e per i secoli dei secoli del liberalismo, non solo negli anni della Monarchia di luglio e del Secondo Impero nella Francia di metà Ottocento, è questa: arricchitevi, ve ne diamo l’occasione. Gli italiani sono in lite con l’Unione europea, secondo recenti sondaggi vorrebbero addirittura uscirne, ma l’euro se lo tengono stretto, non vogliono sostituirlo con una moneta autarchica e con una svalutazione bestiale dei loro averi e redditi, una patrimoniale e una tassazione gigantesca. Paradossale, ma clever, come dicono gli inglesi, che d’altra parte si sono accorti troppo tardi di quale regalo fosse stato per loro Maastricht, moneta nazionale e internazionale salvaguardata, la sterlina, più mercato unico. Comunque, il problema è quello, la mobilità: creare lavoro e arricchire il lavoro che si crea, offrire un potere d’acquisto non stagnante, non meschino, e incentivare produzione e consumi.

   

La società aperta è una società attiva, in cui la quota di sussidio accumulato come pensione, e la quota di sussidio contro la povertà, e la quota di protezione sociale detta welfare, non sono tali da deprimere la ricchezza sociale da produttività del lavoro, da investimenti e profitto d’impresa, e una sua ripartizione equilibrata, non eguale (quello è il socialismo pianificatorio), equilibrata. Senza nemmeno stare a guardare la Baviera, basta pensare che quattro-cinque anni fa Renzi era popolarissimo, e il Pd al 40 per cento, perché aveva corretto le politiche dell’austerità o dei conti pubblici sotto controllo con un’accoppiata che risultò formidabile: un nuovo codice del lavoro che detassava le assunzioni e le rendeva meno onerose, e un aumento di stipendio o salario di 80 euro per i redditi inferiori e stagnanti da anni. Se invece di rompere i coglioni contro le riforme liberali i sindacati avessero scatenato l’inferno per generosi aumenti salariali, inducendo con le cattive e con le buone, ma più con le cattive, borghesi e imprenditori a finanziare una vera ripresa invece che la campagna contro la casta, oggi grillini e leghisti sarebbero rumorosamente all’opposizione (per non parlare sempre della legge elettorale, che li ha favoriti, ma non è il problema, perché è la gente che vota, non la legge elettorale). La gente ai soldi ci bada, e non ha tutti i torti, e non vuole una società liberale e aperta ma divisa tra quelli che non hanno futuro e quelli per cui il futuro non costituisce un problema.

          
L’identità è importante, l’eccesso di amor proprio delle élite è importante, le periferie anche esistenziali sono importanti, ma niente importa come un lavoro ben retribuito e l’eguaglianza delle possibilità di ascesa sociale. Deregolamentare il sistema, abbassare le tasse, abolire le greppie amministrative locali, far cacciare i soldi agli imprenditori e concessionari e centri finanziari che rigurgitano di profitti, e anche allo stato per compensare un lavoro pubblico organizzato e sorvegliato, quello sì, da regole stringenti: forse è troppo semplicistico, l’austerità dopo il 2008 ha tagliato quella strada, forse, ma non credo poi tanto.

 

A quel punto anche la rappresentanza, cioè la definizione di un blocco istituzionale e sociale di sostegno al sistema liberale inteso come società aperta, cambia di segno: la gente non se la va a cercare da quelli che fanno l’elemosina sociale, disprezzano capacità e talento, riducono i cittadini a sudditi, chiudono porti e magari aeroporti, minacciano anche le mense dei bambini, incrudeliscono su privilegi simbolici, decretano la fine della povertà, agitano lo spettro della legalità e dell’onestà e della paura per nascondere l’incubo dell’incompetenza e della crassa ignoranza dei parvenu, esibiscono muscoli autoritari e rinverdiscono vecchi miti fascistoidi, e intanto preparano il collasso dell’unico sistema che abbiamo, perché There Is No Alternative, TINA, come dovremo presto constatare facendoci spiegare da Putin la sua riforma delle pensioni e dai creditori perché non ci fanno più credito se non a un costo insostenibile. Il primo che chiama il popolo o le classi o gli individui, scegliete voi, a battersi per un aumento generalizzato del potere d’acquisto, e dei salari e stipendi, vince la lotteria di questa storia che si fa ogni giorno più miserabile, in tutti i sensi.

  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.