Carlo Calenda (foto LaPresse)

Calenda ci dice perché la manovra è pericolosa, iniqua e vagamente immorale

David Allegranti

“Alle Europee il Pd non presenti il simbolo. A Roma c’è un referendum che va sostenuto”. Parla l'ex ministro

Roma. Le occasioni per un’opposizione convincente al governo dello sfascio non mancano, dice al Foglio Carlo Calenda, che da tempo lavora per un “fronte repubblicano” con il quale contrastare Cinque stelle e Lega. Una di queste è, per esempio, il referendum dell’11 novembre sull’Atac. “Io ho firmato. Non ci può essere una vera resistenza civile senza partire da fatti molto concreti e non riacquisti la rappresentanza dei progressisti se non partendo da un piano legato alle cose di tutti i giorni, come il sistema di trasporto pubblico”. Vale per l’Atac, dice l’ex ministro dello Sviluppo Economico, ma anche per Alitalia, che il governo vuole nazionalizzare.

  

“Penso che su temi come questi – dice Calenda al Foglio – dovremo cominciare a trovare saldature tra mondi diversi in vista delle elezioni europee”. Poi, certo, l’approccio da intraprendere può essere modulato, osserva l’ex ministro: magari l’auspicato fronte repubblicano può essere più liberale sul trasporto pubblico e più socialdemocratico invece sulla scuola. Il problema però è che per partire manca la materia prima, a partire dal Pd.

  

“Sull’Atac io mi aspetterei un fortissimo appoggio da parte del Pd, che purtroppo non arriva perché ormai sono confusi al loro interno, fratturati in diecimila componenti, non sanno mai promuovere una sintesi, non c’è un posto in cui si discute e poi si prende una linea comune. Sono dietro a un congresso infinito, del quale non si sa neanche la data”. Questo spezzettamento ha degli effetti negativi piuttosto concreti: “Alle prese di posizione politiche generali su qualsiasi tema vengono anteposte logiche di natura congressuale. La paralisi del Pd sull’Atac a Roma è lo specchio di quello che succede ovunque. Il congresso è diventato un buco nero, invece si sarebbe dovuto fare un mese dopo la sconfitta. Così oggi tutto diventa in funzione del congresso. E’ una situazione imbarazzante”. Peraltro, dice Calenda, ora ci sarebbe bisogno di un orientamento chiaro, definito, preciso. “Da mesi dico che servirebbe un governo ombra, un coordinamento settimanale fatto da Minniti, Padoan, Gentiloni, Martina, Zingaretti, me e tutti quelli che hanno esposizione pubblica nell’opposizione, per marcare a uomo i ministri di Lega e Cinque stelle. Invece il Pd ha un approccio totalmente ombelicale. Ma così rischia di contendersi il cadavere di un partito, mentre tutto intorno sono in discussione i valori della democrazia liberale e dell’occidente”.

 

Un nuovo contenitore accanto al Pd sarebbe utile? “Secondo me no. L’obiettivo prioritario è presentarsi alle Europee con un fronte ampio, nel quale il Pd non deve presentarsi con il suo simbolo ma sostenerlo. Peraltro questa posizione, ancorché non emersa nel dibattito congressuale, è prevalente nel Pd e lo sanno tutti. Un soggetto nuovo porterebbe a un ulteriore trinceramento del Pd e questo va evitato, nonostante prudano le mani tutti i giorni”. Il Pd ha un problema di classe dirigente? “Sì, e ne ha anche uno culturale e di identità. Prima è blairiano, poi vince Hollande e diventa socialdemocratico, poi arriva Renzi, ora ci sono quelli che vogliono cancellare Renzi o la sua esperienza di governo. In questo modo le mani di vernice si accumulano su un muro sempre più crepato. Invece servirebbe la malta, per proseguire con la metafora, con cui costruire una storia condivisa. Oggi si dibatte su chi è più o meno di sinistra, senza chiedersi cosa voglia dire essere di sinistra. Non si entra nel merito ma si cerca solo posizionamento. Un modo molto pop di fare politica ma così non si va da nessuna parte”. E cosa vuol dire essere di sinistra nel 2018? “Abbiamo promesso meno garanzie e più opportunità ma senza dare i mezzi per avere quelle opportunità. Ci siamo illusi di star costruendo mobilità sociale e merito, invece non è stato così”. E quei mezzi possono arrivare solo dall’investimento sulla scuola e la cultura, dice Calenda. Questo significa essere di sinistra nel 2018. “Mi dicono che così servono vent’anni, ma non è vero. Se tu a una casalinga di Pomigliano d’Arco dici che lo Stato si occupa di tuo figlio come se fosse un borghese di Milano, garantendogli il tempo pieno, facendogli fare sport, letture e lingue, la sua percezione cambia nel giro di sei mesi, non di sei anni”.

 

Le idee di Calenda sono naturalmente in contrasto con quello che produce questo governo, a partire dalla manovra. “E’ una finta, una truffa. Contiene numeri inventati, perché il deficit non sarà al 2,4 per cento ma vicino se non superiore al 3. E non puoi mentire alle persone alle quali chiedi i soldi”. Per l’ex ministro “questo governo mette l’Italia in una situazione gravissima, anche perché a breve dovremo rinnovare 250 miliardi di debito”. Insomma questa, aggiunge Calenda, “è una manovra iniqua e vagamente immorale, premia gli evasori fiscali e non investe su scuola e competenze. Costruisce un meccanismo di instabilità nel sistema pensionistico. Prevede il reddito di cittadinanza, che sarà la fine di questo governo; oltretutto non c’è controllo sul denaro che sarà dato alle persone e non si capisce chi è che ne avrà bisogno. E’ una manovra truffaldina e ingiusta. Ed è pericolosa perché prende in giro chi presterà i soldi. La Grecia l’ha fatto prima che saltasse per aria”.

 

Ma Calenda per chi voterà al congresso del Pd? “Andrò a votare e voterò chi è in grado di rappresentare un fronte alternativo a chi ci vuole fare uscire dall’Europa e portarci verso il Venezuela. Chi costruirà un fronte per bloccare gli sfascisti in cui ci sono cattolici, popolari, socialdemocratici, democratici liberali avrà il mio voto. Si chiami Gianni o Pinotto. Certo, se il congresso del Pd sarà tutto incentrato su chi è più o meno amico di Renzi, sarà difficile fermare il processo di putrefazione che ha allontanato un pezzo dell’elettorato. E oggi è inaccettabile, proprio perché in discussione ci sono i valori della nostra democrazia liberale”.

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  • David Allegranti
  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.