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Come inchiodare l'immobilismo populista

Claudio Cerasa

Esiste o no una classe dirigente disposta a ribellarsi contro la spazzatura sfascista? A Roma, l’11 novembre c’è un gran referendum con cui combattere l’immobilismo inefficiente del modello Raggi. Si parla di Atac, ma si parla di Italia. La Lega che fa?

C’è un’occasione grande come una casa per provare a mettere in campo un’alternativa allegra, tosta e concreta al partito unico dello sfascio. Quell’occasione non coincide con la discesa in campo di una nuova leadership politica, ma coincide con un appuntamento che merita di essere cerchiato di rosso sul vostro calendario: Roma, 11 novembre, referendum contro l’immobilismo populista. Al contrario di quello che si potrebbe credere, il referendum di cui parliamo non è un semplice referendum contro Virginia Raggi ma è un formidabile referendum organizzato contro una prassi politica di cui l’attuale sindaco è un effetto prima ancora che una causa: l’incapacità di considerare la lotta contro le inefficienze una battaglia più importante della riduzione di un vitalizio.

 

Il referendum che verrà celebrato a Roma l’11 novembre permetterà di votare a favore della messa a gara del trasporto pubblico locale della Capitale e per spiegare bene di cosa si tratti potremmo metterla così. Oggi, come tutte le grandi città italiane, il trasporto pubblico locale è affidato dal comune alla sua municipalizzata senza gara e il fatto che non ci sia alcuna forma di concorrenza nell’affidamento del servizio ha avuto l’effetto di stimolare una spirale di inefficienza di cui Roma è diventata un simbolo nazionale. L’Atac vanta un miliardo e 400 milioni di debiti aziendali e negli anni di Virginia Raggi i costi, piuttosto che ridursi, sono aumentati. Al netto degli ammortamenti e delle svalutazioni, il costo di una vettura al chilometro (cioè quanto costa far spostare un mezzo per un chilometro) è passato da 5,84 euro del 2015 a 6,47 euro del 2017 contro una media inferiore a 5 euro a Milano e una di 2,5 euro nelle grandi città inglesi esclusa Londra. Il costo del personale, a Roma, per quanto riguarda Atac, è pari al doppio degli introiti di tutti i biglietti e di tutti gli abbonamenti venduti e i numeri lasciano senza parole: costo del personale 537 milioni di euro, introiti sui biglietti pari a 264 milioni (i ricavi per passeggero vanno dagli 0,26 euro di Roma agli 0,76 di Milano all’1,2 euro di Londra). E per non parlare poi del costo unitario di fornitura di ogni servizio (a Milano è del 27 per cento inferiore rispetto a Roma) e del numero di assenteismi registrati ogni giorno in Atac (media di 1.500 al giorno).

 

Per il comune, mettere a gara la concessione del trasporto pubblico significherebbe rendere possibile la fine del monopolio di Atac e significherebbe fare di tutto per trasformare la sua municipalizzata in un’azienda efficiente al punto da essere in grado di offrire un servizio migliore rispetto alla concorrenza.

 

Ma la storia di Atac, naturalmente, è solo un pretesto utile a misurare qualcosa di più importante, che riguarda Roma ma che in realtà riguarda l’Italia: di fronte a un paese ostaggio dell’incuria, della spazzatura, della negligenza, dell’inefficienza, della pochezza di un sindaco incapace di essere all’altezza del suo ruolo, esiste o no una classe dirigente dotata di spina dorsale in grado di mostrare un segno di minima reazione di fronte all’auto-evidente sfascio di una città? La data del referendum su Roma, l’11 novembre – bisogna votare Sì – è una data importante anche dal punto di vista simbolico, perché arriva il giorno dopo un altro appuntamento che potrebbe segnare il destino della Capitale. Il 10 novembre è il giorno in cui è prevista la sentenza del tribunale di Roma su Virginia Raggi e il sindaco di Roma, accusato di falso, ha promesso che si dimetterà in caso di condanna. Chiunque abbia però a cuore il futuro di Roma, e in un certo modo dell’Italia, dovrebbe avere il dovere di non aspettare passivamente una sentenza, di attivarsi concentrandosi sulla ciccia del dramma romano e ricordarsi che per risolvere i guai italiani non è sufficiente concentrarsi sulla parola onestà ma è necessario concentrarsi sulla parola efficienza. A Roma, l’unica città al mondo in cui i cittadini di fronte a un autobus che esplode pensano all’Atac prima ancora che all’Isis, grazie a un referendum consultivo che in pochi purtroppo conoscono, che il sindaco sta boicottando, che i politici – a parte i Radicali di Riccardo Magi – stanno ignorando e che per essere valido ha bisogno di raggiungere il quorum del 30 per cento, c’è l’occasione di mettere in campo una forma attiva e non demagogica di resistenza civile contro l’immobilismo populista. E la partita romana non è solo un test per le forze politiche di centrosinistra e di centrodestra, che dovrebbero schierare tutte le proprie energie per dare una spallata al modello Raggi, ma è un test anche per un’altra forza politica molto importante che a Roma avrebbe la possibilità di dimostrare con chiarezza di non essere ancora del tutto sottomessa al grillismo. In altre parole: la Lega di Salvini avrà o no il coraggio di schierare le sue truppe contro l’inefficienza della Capitale d’Italia? Sarà difficile trasformare l’11 novembre nella giornata di orgoglio anti sfascista. Ma grazie al referendum sull’Atac almeno ci si può provare. Mobilitarsi, please.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.