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La strategia del governo dimostra che non esiste strategia

Luciano Capone

La Bce, i fondi americani, la Cina, i risparmiatori italiani. Tutte le strade di Salvini e Di Maio portano fuori dall’euro

Cosa ha in mente il governo? Ci sono solo due spiegazioni. Se assumiamo che alla base dell’azione confusionaria dell’esecutivo gialloverde c’è una razionalità, l’obiettivo non dichiarato è la rottura con l’Europa e l’uscita dall’euro. Se invece assumiamo che l’azione caotica del governo è solo il prodotto dell’estemporaneità, l’esito sarà non voluto ma sempre il medesimo. Per venire fuori da questo avvitamento politico ed economico che rischia di trascinare il paese in una crisi finanziaria, l’esecutivo gialloverde ha illustrato diverse exit strategy. Il problema è che sono tutte singolarmente improbabili e per giunta vengono applicate contemporaneamente pur essendo contraddittorie tra loro.

 

La prima è il “la pistola alla tempia” (la pistola è nostra e la tempia pure). L’idea è che noi minacciamo di farci del male, così alla fine “Mario Draghi si inventerà qualcosa” per fermare le nostre pulsioni autolesioniste. I sofisticati teorici dei giochi che hanno in mente questo scenario non hanno fatto i conti con due fattori: primo, le istituzioni europee non hanno alcuna intenzione di cedere al ricatto; secondo, pur volendo, i trattati e lo statuto della Bce impediscono il finanziamento degli stati (a meno che il paese non acceda all’Omt, ma prima è deve firmare un memorandum in stile greco con il Fondo salva stati).

 

La seconda via d’uscita è lo “sbarco in Normandia”. Dopo l’incontro del premier Conte con Trump alla Casa Bianca, si è diffusa la convinzione che a un certo punto, all’improvviso, arriveranno i fondi americani a fare incetta di Btp, garantendoci armi e munizioni per proseguire la guerra contro l’Unione europea e lo spread. Il piano sembra ben congeniato, ma ha un paio di problemi: al momento i marines non si sono visti, anzi sono in ritirata (la Banca d’Italia parla di una fuga dall’Italia dei capitali esteri di oltre 70 miliardi in due mesi); l’altra criticità è di tipo logico: se davvero Trump ha in comune con i sovranisti l’ostilità nei confronti dell’Ue e della Germania, non gli conviene salvare l’Italia al posto dei tedeschi, ma al contrario usare la nostra crisi come grimaldello per scardinare l’Europa (e al limite aiutarci dopo il collasso con molte meno risorse). Di questa versione c’è anche la variante russa, ma sull’aiuto di Putin è meglio non contare: ha appena approvato una dolorosa “riforma Fornerova” delle pensioni in patria, figurarsi se ha i soldi per farla cancellare a noi.

 

La terza strada intrapresa è la “Via della Seta”, ovvero l’aiuto della Cina. Qui le criticità sono molteplici. La prima è che è difficile diventare contemporaneamente partner strategico di due potenze come America e Cina che al momento sono in guerra commerciale. La seconda è che basta guardare alla storia recente della Grecia di Tsipras e Varoufakis, che per la guerra di liberazione dalla Troika aveva contato sui finanziamenti di Pechino poi venuti a mancare all’ultimo momento, per rendersi conto che la Cina – viste le profonde e solide relazioni economiche con la Germania – difficilmente si metterà contro Berlino.

 

C’è infine la soluzione “Euro alla patria!”, la chiamata alle armi dei risparmiatori italiani per scacciare gli investitori stranieri e domare lo spread con la repressione finanziaria. Pur non considerando costi e rischi, c'è anche qui un problema di coerenza logica: italianizzare il debito è l’esatto contrario di chiedere aiuto finanziario ad americani, russi o cinesi.

 

Queste quattro ingegnose soluzioni per evitare la crisi finanziaria prese singolarmente sono un azzardo, messe tutte insieme sono il caos più completo, che è ciò che produce incertezza, che a sua volta è ciò che alimenta lo spread. A questo punto non importa se la strategia complessiva sia il frutto di una lucida pianificazione o della confusa disperazione, perché ciò che conta in politica non sono le intenzioni ma gli effetti. E se si “tirerà dritto” l’esito finale non potrà che essere uno: l’uscita dall’euro.

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali