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Perché la proposta di apertura del Pd di Calenda e Veltroni divide il Pd

David Allegranti

"Andare alle Europee con un fronte ampio, nel quale il Pd non deve presentarsi con il suo simbolo ma sostenerlo". L'idea dell'ex ministro agita il partito

Roma. Carlo Calenda, parlando con il Foglio, aveva lanciato la proposta nei giorni scorsi: “Dovremo cominciare a trovare saldature tra mondi diversi in vista delle elezioni europee”. L’obiettivo prioritario, aveva aggiunto, “è presentarsi alle Europee con un fronte ampio, nel quale il Pd non deve presentarsi con il suo simbolo ma sostenerlo. Peraltro questa posizione, ancorché non emersa nel dibattito congressuale, è prevalente nel Pd e lo sanno tutti”.

  

Walter Veltroni sembra aver fatto sua l’idea di Calenda e ieri in un’intervista al Corriere della Sera ha detto che il centrosinistra dovrebbe presentarsi con una “lista europeista aperta, guidata da personalità indipendenti e autonome, che raccolga insieme con il Pd tante energie della società”. I capilista “non devono essere divisi tra le correnti del Pd, ma scelti nel meglio della società italiana”. Insomma deve esserci una lista “che assomigli a come immaginavo il Pd: un luogo cui persone, associazioni, movimenti, gruppi, potevano aderire, restando se stessi”. L’idea piace al segretario Maurizio Martina, secondo cui il Pd “deve organizzare liste aperte a tutte le energie europeiste e progressiste che si devono unire per una alternativa forte al rischio dei nazionalisti che mirano a distruggere l’Europa partendo proprio dall'Italia”.

  

   

  

Aprire le liste però non significa rinunciare al proprio simbolo, come propone Calenda. Su questo il capogruppo alla Camera Graziano Delrio è netto: “Aprire sì senza però nascondere il Pd”, dice al Foglio. “Si può fare un’alleanza unica mantenendo i simboli”. L’ex ministro Andrea Orlando è invece ancora più intransigente. Non vuole rinunciare al simbolo e tantomeno aprire il Pd a chiunque: “Cos’è il meglio della società civile?”, si chiede. “Decidere quale parte di società si vuole rappresentare e sulla base di quale proposta è un’operazione politica. Spero che Maurizio Martina chiarisca questo presupposto”. Il compito di un partito non è rappresentare una piccola parte ma neanche una nazione intera, aggiunge Orlando. Dunque, il senso delle liste aperte qual è? “Quello di aprire, mettere a disposizione il Pd”, spiega il coordinatore della segreteria Matteo Mauri. “Sarà la lista della piazza, quella del 30 settembre, dove c’era tanta gente che non ci ha votato alle ultime elezioni”.

   

L’idea di allargare il Pd arriva un po’ da tutte le parti. Ormai i dirigenti dei Democratici sono convinti che da solo il partito non possa andare molto avanti, quindi s’ingegnano per trovare altre soluzioni. Alla Leopolda che inizia domani, per esempio, ha spiegato Matteo Renzi in un’intervista al Corriere, “presenteremo i primi comitati civici: una forma di resistenza culturale contro la sciatteria di questo governo. Parleremo di scienza, ricerca, futuro. Il Pd è importante, ma non basta: c’è tanta gente che chiede di lavorare contro questo governo ma non vuole la tessera di un partito. Nella lunga marcia nel deserto che ci aspetta, la Leopolda è un accampamento originale”. Quest’operazione ha caratterizzato l’azione politica dell’ex segretario del Pd fin dai tempi di Firenze, quando vinse le primarie grazie ai voti del centrodestra. E come non ricordare il risultato delle Europee del 2014, ottenuto anche grazie al voto di elettori non del Pd? Renzi ha sempre funzionato perché in grado di allargare il classico bacino elettorale del centrosinistra.

   

Negli ultimi cinque anni molte cose sono cambiate, a partire dal fatto che la vocazione maggioritaria non è più un caposaldo del partito fondato da Veltroni. Alle Europee si vota con il sistema proporzionale e quindi una lista a più voci o più liste potrebbero superare i limiti naturali di un partito che finora ha fatto fatica a stare dietro al governo dei felpastellati.

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  • David Allegranti
  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.