La Persistenza della Memoria, Salvador Dalì

Manca il whatever it takes della democrazia

Giuliano Ferrara

I sovranisti producono fatti, disgregativi e reali. I liberali rispondono con caciocavalli appesi

Finché a un elenco di fatti sarà opposto un sistema di valori niente potrà fermare o correggere sensibilmente la presa di possesso mondiale nazionalpopulista e lo svuotamento delle democrazie liberali. Quando Mario Draghi disse che avrebbe salvato l’euro “whatever it takes”, ad ogni costo, il banchiere centrale non enunciava un dover essere, decretava una disposizione ad agire con l’indicazione di atti conseguenti, che era in suo potere realizzare. Si inseguono in Italia, il paese che sperimenta il primo governo nazionalpopulista dell’Europa e dell’occidente, petizioni di principio: siamo un’altra cosa, detestiamo la demagogia irrazionale, l’adulazione delle folle e lo sfruttamento di ansie rabbie risentimento frustrazione, restiamo umani, non abbiamo paura. Vabbè. Giusto. Intanto vanno combattuti per quel che sono, d’accordo. Eppoi non è un fenomeno solo italiano. A Trump che elenca i fatti e le prodezze della sua amministrazione America First! Macron risponde con una tirata encomiabile contro la illusione della logica del più forte e altre magistrali delizie di valore.

 

Ma l’unico fatto prodotto dall’Europa unionista è fin qui una complicata macchinazione sui confini dell’Irlanda per rendere difficile alla May di vendere una soft Brexit e la minaccia di bocciare la manovra italiana gialloverde già sottoposta all’azione di manine e manone, a parte l’estensione ulteriore di uno sterminato set di regolamenti. Difesa comune, unione finanziaria, investimenti, infrastrutture, formazione, lavoro, coordinamento fiscale, immigrazione controllata, governance, come si dice, e molto altro compresa la politica estera comune: sono tutti caciocavalli appesi, come diceva Benedetto Croce, atti mancati, promesse a mezza bocca, prove di scarso realismo politico.

 

Non si può rispondere solo con i valori agli atti come la chiusura dei porti, l’intolleranza sistematica verso gli stranieri, le leggi di assistenza, i dirigismi, i condoni tombali, gli attacchi ai diritti civili e di proprietà, i contratti stracciati, la corrosione del sistema finanziario e bancario e assicurativo, la messa in discussione della sostenibilità del debito, tutte cose a cui corrispondono ormai in sequenza decisioni di governo e amministrative quotidiane, concrete, minacciose se non solide, grottesche a volte ma tangibili.

    

Consolideremo l’Europa e la democrazia liberale whatever it takes. Chi è in grado di pronunciare oggi questa frase in modo credibile? Le opposizioni possono fare la loro parte, i partiti e le liste elettorali possono fare la loro, ma senza un movimento in avanti dell’Unione europea, che ha la sua casa di partenza inevitabile nella relazione speciale tra Parigi e Berlino, niente si smuoverà. Il Truce non paga pegno, può andare da Putin a dire che si sente meglio in Russia che nell’Unione europea, e ottiene di rimando un imbarazzato silenzio. L’Italia, come la Polonia, come l’Ungheria, come per certi aspetti l’Austria, può fare quel che desidera, sotto la dizione del sovranismo, e non esistono fatti in grado di contrastare le sue scelte, dall’immigrazione all’economia alla collocazione del paese nel mondo, alle alleanze.

 

L’europeismo diventa così un flatus vocis, la rivendicazione di una storia, non un progetto solido per il futuro. Si può stare dentro e fuori dell’Unione, dentro e contro, si può scorrazzare liberamente e produrre fatti disgregativi senza un controllo, una dissuasione, una capacità di reazione. Intanto si vota, e al gusto trasgressivo dei fatti si oppone un sistema di valori e una lezione umanitaria, magari contando irresponsabilmente sulla sola reazione finanziaria di Lady Spread. Il sistema del liberalismo non produce mobilità e prosperità, non incentiva il benessere effettivo dei ceti produttivi, sfoggia solo norme e valori, e in più manca completamente di autorità nella dimensione del famoso potere sovranazionale, tanto minaccioso per le identità nazionali che letteralmente non esiste o non si manifesta. Nel caso della Grecia, con tutti gli errori fatti, mercati e Troika e Consiglio europeo imposero una svolta difficile, costosa socialmente, ma ineludibile, e riforme in cambio della persistenza del paese nell’area dell’euro. Ora è una totale impasse. Può bastare? Mi pare di no.

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.