La manifestazione antirazzista di Berlino dello scorso 13 ottobre (foto LaPresse)

Viva l'Europa del Lodi et Amo

Claudio Cerasa

I sessantamila euro raccolti per i bimbi di Lodi, i risultati della Baviera, il corteo anti razzista a Berlino. Perché i segnali di resipiscenza ci dicono che contro gli sfascisti servono nuovi contenitori. Elogio dell’internazionale anti populista

Prendeteci pure per matti, ma nonostante tutto viene voglia di essere ottimisti. Forse non così ottimisti come i due azionisti del governo, che come è noto hanno previsto una crescita dell’1,5 per cento per il 2019, contro una stima tendenziale dello 0,9, con uno slancio che non avrebbe avuto il coraggio di mettere nero su bianco neppure la mitica maga Famoso Iole, ma qualche segnale positivo, di resipiscenza, di razionalità o se volete di semplice comprensione della realtà in giro comincia a essere presente e mai come oggi vale dunque la pena mettere in evidenza due storie apparentemente distanti eppure incredibilmente vicine. La prima storia riguarda Lodi, la seconda storia la Baviera.

 

La prima storia l’avete letta ieri sui giornali ed è una storia molto bella: il comitato che aveva avviato una raccolta fondi per sostenere i bambini stranieri esclusi dalle mense scolastiche di Lodi a causa di una delibera sciagurata approvata da un sindaco leghista, che di fatto escludeva i figli dei residenti stranieri dalle agevolazioni per le mense e gli scuolabus, ha comunicato di aver raggiunto l’obiettivo che si era posto per coprire le mancate agevolazioni fino al prossimo dicembre. E’ un segnale piccolo, garbato, di sana resistenza civile contro i politici abituati a giocare con il frullatore della xenofobia, ma è comunque un segnale che mette allegria e ci dice che c’è qualcuno che si sta rendendo conto di cosa significhi trasformare lo slogan “prima gli italiani” in qualcosa di più truce, simile a “facciamo di tutto per non far sentire a casa gli stranieri”. Bisogna essere molto ottimisti per credere che una donazione da sessanta mila euro per la mensa di Lodi sia sufficiente per mettere in moto una solida resistenza nei confronti del sovranismo nazionalista.

 

Ma diciamo pure che può essere percepito come un segnale di vitalità simile a quello doppio registrato negli ultimi giorni in Germania. Prima con la straordinaria manifestazione contro il razzismo e la xenofobia organizzata il 13 ottobre lungo le strade del centro di Berlino – dovevano esserci 40 mila persone, ne sono arrivate 150 mila – e poi con il voto di domenica in Baviera, dove a far tesoro del crollo dei partiti tradizionali (la Csu è passata dal 47,7 al al 37,3 e l’Spd è passata dal 20,6 al 9,5) non è stato il partito cugino della Lega (l’Afd, al 10,7) ma è stato il partito europeista Die Grünen passato dall’8,6 al 17,8. Saremmo anche qui troppo ottimisti a voler segnalare che il voto della Baviera – Verde alors! – arriva esattamente un mese dopo un’altra tornata di elezioni, in Svezia, che ha deluso l’internazionale sovranista, e in cui il partito antimmigrati, Svezia Democratica, è passato dal 13 per cento al 17,6 per cento, mantenendo sul podio la stessa posizione dell’Afd in Baviera o del partito di Wilders in Olanda, ovvero la numero tre. Ma più che consolarci sui pochi tituli, zeru a parte l’Italia, dei sovranisti europei il dato più significativo riguarda una considerazione di carattere politico che parte dalla Baviera e arriva fino alla Francia passando dalla Spagna e anche dall’Olanda. Tema: ma il risultato a sorpresa dei Verdi che tipo di messaggio politico può veicolare al di fuori dei confini della Baviera? A voler essere ottimisti potremmo sentenziare che l’amore per i partiti che hanno a cuore l’Europa è ancora infinitamente più forte dell’amore per i partiti che considerano l’Europa la fonte di ogni guaio.

 

Ma non vogliamo esagerare in ottimismo – per quello ci sarà il nostro festival del 27 ottobre a Firenze – e vogliamo provare a essere invece più concreti segnalandovi un tema che ci sembra centrale. Il punto è questo: e se il vero problema dell’alternativa ai partiti populisti fosse legato a una concorrenza difettosa? Le storie della Baviera, della Spagna, della Francia e dell’Olanda in fondo ci dicono che laddove esistono forti partiti antisistema non ci si può rassegnare all’idea che ci siano solo i vecchi partiti a fronteggiarli, ma bisogna al contrario fare di tutto affinché gli elettori che cercano qualcosa di nuovo non abbiano come unica risposta alla loro domanda solo il contenitore sovranista. In Germania ai Verdi con l’Afd è riuscito in forme diverse quello che è riuscito in Spagna a Ciudadanos con Podemos, quello che è riuscito a En Marche! contro la Le Pen e quello che è riuscito con il partito di centro, con il partito liberale e con il partito ambientalista in Svezia, che insieme hanno ottenuto quanto gli euroscettici svedesi (17 per cento). E se volessimo inserire anche l’Italia all’interno di questo ragionamento potremmo dire che una parte dei guai del nostro paese è legata proprio a un problema irrisolto relativo alla competizione tra partiti alternativi a quelli tradizionali. La grande anomalia italiana è che durante la campagna elettorale in molti, senza preoccuparsi di leggere i programmi elettorali, hanno provato a descrivere il Movimento 5 stelle come se fosse un’alternativa moderata alla Lega di Salvini, con il risultato però che oggi l’Italia ha non uno ma ben due partiti antieuropeisti alla guida del paese. Dunque, che si fa? A prescindere da quale sarà l’esito delle primarie del Pd, e a prescindere da quale sarà il futuro di Forza Italia, i partiti tradizionali oggi non hanno la forza per competere con la novità incarnata dalle leadership di Lega e M5s, e il punto su cui ragionare potrebbe essere questo: e se l’Italia alternativa a quella sfascista avesse un disperato bisogno di creare tra i due partiti europeisti un nuovo contenitore con una nuova leadership che non sia un semplice make up dei vecchi partitini di centro e che sia capace di parlare agli elettori assettati di novità? Lo spazio c’è, gli elettori pure, la resipiscenza è possibile e il caso della Baviera ci dice che per provarci potrebbe essere una pessima idea aspettare che non ci sia più nulla da perdere.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.