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Così i Verdi hanno imparato a riempire i vuoti dei partiti tradizionali

Daniel Mosseri

I socialdemocratici non sanno dare risposte, i conservatori non sanno essere trasversali. L’analisi di un esponente dei Grünen

Berlino. Sergey Lagodinsky è appena rientrato a Berlino da Ulm, dove ha incontrato i compagni di partito dei Verdi affinché sostengano la sua candidatura al Parlamento europeo. L’ultima parola spetta al congresso dei Grünen a Lipsia dal 9 all’11 novembre ma Lagodinsky è ottimista e il partito anche di più. I Verdi bavaresi sono usciti benissimo dalle elezioni di domenica per il rinnovo del Landtag di Monaco con il 17,5 per cento contro l’8,6 di cinque anni fa in un Land che faceva rima con Csu. Mentre la Csu si straccia le vesti per essere precipitata al 37,2 per cento dal 47,7, i Verdi sono diventati il secondo partito nel Parlamento bavarese e alla serata elettorale a Monaco il presidente del partito Robert Habeck e il capolista regionale Ludwig Hartmann hanno celebrato il successo come due rockstar, lanciandosi dal palco sulla folla di sostenitori in festa. Perché la Baviera è importante ma i sondaggi sono positivi anche a livello federale.

 

Eppure quando Angela Merkel nel 2011 spense a sorpresa le centrali nucleari tedesche dall’oggi all’indomani in molti vaticinarono la fine del partito ecologista privato della storica battaglia del sole che ride. Lagodinsky ci aiuta a capire cosa ha permesso ai Grünen di ripartire rivaleggiando con i socialdemocratici per la primazia politica nel campo progressista. “In primo luogo – spiega al Foglio – Merkel si è presentata come rivoluzionaria in campo ambientale ma non è stata coerente: anzi, in ambito europeo il suo governo si è preoccupato più per la lobby dell’auto che del cambiamento climatico”. E poi, è vero, la questione clima non è tutto, “ma pochi partiti come i Verdi si preoccupano del processo di cambiamento della società”. Apertura, integrazione, multiculturalismo, assetto della famiglia e diritti dei lavoratori sono tutti temi sui quali Merkel ha ricominciato a riascoltare la destra “e adesso gli elettori non capiscono più da che parte sta”. Lo stesso discorso vale per i diritti sociali: in una Germania con sempre più mini jobber senza assicurazione sanitaria, free lance schiacciati dal fisco, e lavoratori dell’industria classica in ansia per la trasformazione in senso digitale del proprio lavoro, “i socialdemocratici non sanno più che risposte dare”. I Verdi riempiono dunque i vuoti politici dei due principali Volskpartei tedeschi. “Dall’ambiente al lavoro, il nostro approccio olistico parla agli elettori”. Olistico e trasversale, sottolinea Lagodinsky nel ricordare che il cambiamento climatico e il multiculturalismo non interrogano solo l’area progressista “ma anche molti elettori moderati”. Le prime analisi sui flussi elettorali in Baviera confermano come i Verdi siano andati forte nella fascia di età 18-45, rubando elettori a una Csu più concentrata fra gli over 45 and up. Cosmopolita e ovviamente più urbano che rurale, il partito ecologista si interroga sul futuro della Germania, “e a Berlino stiamo discutendo se permettere agli insegnanti di indossare simboli religiosi: ma nessuno vuole il burqa”. Questioni che non si possono tagliare con l’accetta perché “se vieto il velo sul lavoro forse obbligo più donne a restare a casa in un ambiente che le opprime”.

 

Per Lagodinsky negli ultimi anni Berlino ha approfittato economicamente di un’unione monetaria priva di un’unione fiscale. “Gli squilibri esistenti”, leggi il surplus delle partiti correnti in Germania, “vanno superati con soluzioni economiche keynesiane”. Ma gli errori riguardano anche il passato: durante la crisi finanziaria Berlino ha imposto l’austerità ai paesi del sud, “oltretutto lo abbiamo fatto facendo credere ai tedeschi che si stavano sacrificando per salvare quei paesi, dei quali stavamo invece approfittando. Lo stesso è successo per l’immigrazione. Oggi, invece, è giunto il tempo della solidarietà”.

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