Contratto contro gli italiani

Luciano Capone e Carlo Stagnaro

Tutto quello che non vi hanno raccontato sull’accordo sottoscritto da Di Maio e Salvini. Lavoro, pensioni, reddito di cittadinanza, sicurezza, immigrazione, Europa: le improbabili promesse del programma M5s-Lega spiegate con un manuale anti sfascista. Un fact checking

Nel “Contratto per il Governo del Cambiamento” la parola “pubblicocompare 72 volte, “privatosolo 16. “Risorse” (generalmente assieme a verbi come “incrementare”) ricorre 43 volte, investire o investimenti 29, incentivare 12. La “concorrenzaè citata solo quattro volte, in via incidentale. Le liberalizzazioni non compaiono mai; in compenso viene evocata la Direttiva Bolkestein per pronunciare un anatema contro la libera circolazione dei servizi nell’Unione europea. Il programma della coalizione pentaleghista assemblato da Luigi Di Maio e Matteo Salvini si articola in 30 punti in ordine alfabetico e 58 pagine che toccano tutte le priorità della nuova maggioranza. Dal punto di vista formale, il documento si presenta come un vero e proprio contratto, aperto da una formula di autenticazione “ai sensi del DPR 445/2000”. A parte questo, l’attenta scelta dei temi e delle parole – e la evidente assenza di dati e tentativi di tradurre gli impegni politici in impegni di bilancio – è rivelatrice degli equilibri raggiunti tra le due parti, ma anche di quelli tra le enunciazioni di principio e i messaggi in codice più prosaicamente rivolti agli interessi organizzati. Per esempio, lo spazio attribuito a debito pubblico e deficit (22 righe) è di poco superiore a quello riservato alla riforma del Coni (18 righe), che a sua volta ha un’importanza più che doppia rispetto al Mezzogiorno (8 righe spese per dire che non serve alcuna misura ad hoc).

Lo spazio attribuito a debito pubblico e deficit (22 righe) è di poco superiore a quello riservato alla riforma del Coni (18 righe)

Come vedremo, il programma ha comunque una sua coerenza: prevede un ruolo molto ampio per lo stato – sia attraverso la presenza diretta nell’economia, sia come “datore di lavoro di ultima istanza”, sia infine per mezzo delle politiche industriali – e un tendenziale ripiegamento su se stessa della società italiana (con un diffuso senso di sospetto, se non rigetto, verso la libertà economica e personale). Di seguito analizziamo le principali proposte.

 

Acqua, ambiente, green economy, rifiuti

Sull’acqua il contratto rilancia lo “spirito” del referendum del 2011, con tanto di ripubblicizzazione degli acquedotti per favorire gli investimenti e ridurre le perdite. Purtroppo l’esperienza dice il contrario: non solo già oggi la maggior parte delle imprese del settore sono a controllo pubblico, ma proprio dove la presenza pubblica è maggiore si osservano le performance più deludenti. Ciò nonostante, il M5s e Lega si pongono come obiettivo quello di invertire un trend degli ultimi anni, aprendo nuove municipalizzate per affidare loro le reti idriche e fognarie.

 

Più in generale, la maggioranza giallo-verde vuole garantire un forte sostegno – attraverso regole, obblighi e sussidi – alla green economy, l’efficienza energetica e le fonti rinnovabili, con numerosi richiami all’economia circolare e alcuni propositi di difficile comprensione (“per una risorsa non rinnovabile la percentuale sostenibile di impiego non può essere maggiore di quella con la quale è possibile rimpiazzarla con una risorsa rinnovabile”). Traspare un forte pregiudizio contro lo sviluppo urbano e il settore dell’edilizia, al punto che non soltanto si annunciano ulteriori provvedimenti contro il

Incentivi per le tecnologie ambientalmente virtuose e nello stesso tempo taglio delle accise sui carburanti per autotrazione

“consumo di suolo”, ma addirittura tale concetto viene equiparato a quello di “spreco di suolo”. Scontati (e anche obbligati dalla normativa europea) i richiami alla riduzione, riutilizzo, riciclo e ricupero dei rifiuti. Curiosamente, la proposta di incrementare gli incentivi per le tecnologie e i comportamenti ambientalmente virtuosi si accompagna a quella di tagliare le accise sui carburanti per autotrazione (contenuta nel capitolo sul fisco). Al tempo stesso, la sezione sui trasporti chiede di ridurre l’utilizzo di autoveicoli alimentati a gasolio o benzina. La logica, a volerla trovare, sembra essere di incentivare – attraverso il taglio delle imposte – il consumo di un bene il cui utilizzo si vuole tuttavia disincentivare, e a tale scopo incrementare più che proporzionalmente il sostegno alle tecnologie alternative. Ingegnoso, ma costoso.

Il capitolo sull’ambiente si occupa anche dell’Ilva, per la quale è previsto “un programma di riconversione economica basato sulla progressiva chiusura delle fonti inquinanti”. La formula ambigua non lascia presagire nulla di buono.

 

Banca per gli investimenti e risparmi

La politica industriale dell’alleanza grillo-leghista si può riassumere parafrasando il titolo del libro di Franco Debenedetti: “Scegliere i vincitori, salvare i perdenti”. La principale proposta è quella di una Banca pubblica per gli investimenti che partecipi al finanziamento delle imprese (in particolare piccole e medie), finanzi “iniziative di interesse pubblico e strategico nazionale”, e si occupi di “innovazione con il fine di perseguire le politiche di indirizzo del ministero dell’Economia”. Sotto

Velleitaria appare l’idea di separare le attività commerciali delle banche da quelle di investimento. Più pericolosa, perché meno generica, la proposta di rendere impignorabile la prima casa: una misura super populista, che produrrebbe una impennata dei tassi di interesse sui mutui

questo profilo, i nuovi ministri troveranno il terreno arato e fertilizzato dal governo uscente, specie in alcuni campi: diversi sussidi del piano Industria 4.0 hanno natura selettiva, ma soprattutto la Cassa depositi e prestiti (con l’ingresso nel capitale di Tim) e Invitalia (attraverso il neo-costituito fondo anti-delocalizzazioni) hanno ottenuto nuova potenza di fuoco per intervenire in modo discrezionale nell’economia. Insomma, se Di Maio e Salvini vogliono tornare alla Gepi, non hanno bisogno di nuove armi ma solo di mettere più munizioni. Un primo banco di prova sarà rappresentato da Alitalia, di cui viene previsto il “salvataggio”.

 

Anche la tutela del risparmio è al centro dell’attenzione della maggioranza. Intanto viene messo in discussione il meccanismo del bail in (che tuttavia dipende da disposizioni Ue) e si propone di risarcire i “risparmiatori espropriati” (sic) attingendo alle polizze dormienti, e allargandone la platea ai piccoli azionisti delle banche in risoluzione. Vaste programme. Come vasto è l’impegno a rivedere gli accordi di Basilea (che dipendono dal Comitato di Basilea). Il contratto parla poi di “ridefinizione della mission e degli obiettivi” del Monte dei Paschi “in un’ottica di servizio”, qualunque cosa voglia dire. Ugualmente velleitaria appare l’idea di separare le attività commerciali delle banche da quelle di investimento. Più pericolosa, perché meno generica, è la proposta di rendere impignorabile la prima casa: una misura super populista, che produrrebbe un’impennata dei tassi di interesse sui mutui e danneggerebbe soprattutto i giovani e chi non è in grado di offrire altre garanzie.

 

Conflitto d’interessi

Si tratta di uno dei punti fondamentali del programma del Movimento 5 stelle, di quelli che hanno impedito qualsiasi forma di dialogo con Silvio Berlusconi e Forza Italia. La norma proposta prevede di estendere molto le ragioni di incompatibilità con gli incarichi pubblici. “Riteniamo – c’è scritto – che debba qualificarsi come possibile conflitto di interessi l’interferenza tra un interesse pubblico e un altro interesse, pubblico o privato, che possa influenzare l’esercizio obiettivo, indipendente o imparziale, di una funzione pubblica, non solo quando questo possa portare un vantaggio economico a chi esercita la funzione pubblica e sia in condizione di un possibile conflitto di interessi, ma anche in assenza di un vantaggio immediatamente qualificabile come monetario”. Con un’interpretazione così vasta può ricoprire un incarico pubblico solo chi è da molti anni fuori dal mercato del lavoro, non ha incarichi di rilievo, grandi proprietà o partecipazioni in imprese e società. In pratica un pensionato o un destinatario del reddito di cittadinanza. E’ evidente che la norma sia stata cucita su misura su un profilo come quello di Luigi Di Maio (ma rientra perfettamente anche Matteo Salvini), che non a caso è il capo politico ed era il candidato premier per il M5s. Ma è talmente restrittiva da rendere perfino Giuseppe Conte, il nome indicato come presidente del Consiglio, incompatibile con quell’incarico. Infatti, come ha riportato Repubblica, il 14 maggio scorso l’avvocato Conte ha reso una consulenza a un finanziere che si sta battendo per il controllo di una società che gestisce cavi in fibra. Tale parere pro veritate è indirizzato proprio al governo, che potrebbe far valere il golden power. Una fattispecie che rientra nella definizione estesa di incompatibilità per “conflitto d’interesse”.

 

Cultura e turismo

Il programma della Lega e del M5s in materia di cultura appare relativamente coraggioso: sebbene al prezzo di un complicato giro di parole, riconosce l’inefficacia della gestione pubblica dei beni culturali e propone un maggiore coinvolgimento

Per il turismo, l’intento è chiaro: limitare la competizione e difendere (con strumenti di dubbia efficacia) gli operatori nazionali. Difesa: un punto fondamentale che riguarda il ruolo dell’Italia nel mondo e i suoi rapporti con i paesi alleati è in coda, mentre in testa c’è il ricongiungimento familiare dei militari

dei privati. Invoca anche la riforma del Fus (Fondo unico per lo spettacolo) ma non chiarisce in quale direzione.
Surreali sono invece alcune idee sul turismo. L’intento è chiaro: limitare la competizione e difendere (con strumenti di dubbia efficacia) gli operatori nazionali. Da un lato, “si punta all’introduzione della webtax turistica per contrastare la concorrenza sleale delle piattaforme online straniere”. Ma soprattutto – e qui citiamo senza commentare – “è cruciale governare questo importante ambito sia dal lato dell’offerta… che da quello della domanda… attraverso la revisione delle piattaforme digitali esistenti e la realizzazione di una piattaforma nazionale unica dedicata al turismo e al turista”. Please, visit Italy.

 

Debito e deficit pubblici

La sezione su debito e deficit pubblici dovrebbe essere l’architrave che sorregge il peso economico delle promesse elettorali. Siccome parliamo, secondo le stime dell’Osservatorio sui conti pubblici, di una lista della spesa tra i 110 e i 125 miliardi, ci si aspetterebbe una descrizione ampia e approfondita dei macro indicatori di finanza pubblica (deficit, debito, avanzo primario, eccetera). Invece ci sono poche righe (all’incirca quanto quelle dedicate ai “campi nomadi”) e nessuna cifra. La riduzione del debito non deriverà dalla spending review – niente più “austerity” – ma dal “rilancio della domanda interna dal lato degli investimenti ad alto moltiplicatore e politiche di sostegno al reddito delle famiglie”. Per aumentare gli investimenti la soluzione proposta è quella di “indurre la Commissione europea allo scorporo degli investimenti pubblici produttivi dal deficit”. Sul lato della spesa corrente invece si tratta semplicemente di “ridiscutere i Trattati dell’Ue e del quadro normativo europeo” per spendere di più in disavanzo: “Per quanto riguarda le politiche sul deficit – c’è scritto – si prevede una programmazione pluriennale volta ad assicurare il finanziamento delle proposte oggetto del presente contratto attraverso il recupero di risorse derivanti dal taglio agli sprechi, la gestione del debito e un appropriato e limitato ricorso al deficit”. La strategia è questa: convincere l’Europa a cambiare le regole per farci spendere sempre più in deficit al netto della maggiore spesa in investimenti. L’idea di scorporare gli investimenti e finanziare il deficit con “un ricorso al deficit” è affascinante, ma difficilmente troverà altri paesi disposti ad appoggiarla. Attualmente nessuno stato membro dell’Ue è su questa linea. E’ vero che ci sono paesi con un deficit più elevato, ma praticamente tutti sono scesi sotto il 3 per cento del pil e stanno progressivamente riducendo il disavanzo. L’Italia sarebbe l’unico paese, tra l’altro in un periodo di crescita economica, ad andare contromano. Per giunta l'Italia, anche senza considerare la correzione da 10 miliardi richiesta dalla Commissione Ue, deve trovare 30 miliardi in due anni per le clausole di salvaguardia. Lo spazio tra il deficit attuale e il limite del 3 per cento verrebbe integralmente colmato solo per lasciare le cose come stanno. E il resto? Il capitolo sulle coperture è scoperto.

  

Difesa ed Esteri

Al fine di migliorare e rendere più efficiente il settore risulta prioritaria la tutela del personale delle Forze Armate (sottolineando l’importanza del ricongiungimento familiare) e un loro efficace impiego”: è questo il primo punto del programma di Difesa nazionale. Che si lega al terzo: “Nuove assunzioni nelle forze dell’ordine (Carabinieri per la Difesa) con aumento delle dotazioni di mezzi”. In mezzo c’è “la tutela dell’industria italiana del comparto difesa”. E, in fondo, la “rivalutazione della nostra presenza nelle missioni internazionali”. Strano che un punto fondamentale che riguarda il ruolo dell’Italia nel mondo e i suoi rapporti con i paesi alleati sia in coda, mentre in testa ci sia il ricongiungimento familiare dei militari.

Il capitolo della politica estera in realtà riguarda i rapporti con la Russia, lo stato più citato (tre volte). Si parte con una conferma “dell’appartenenza all’Alleanza atlantica, con gli Stati Uniti d’America quale alleato privilegiato” che appare come un’excusatio di tutto ciò che segue: “Una apertura alla Russia, da percepirsi non come una minaccia ma quale partner economico e commerciale potenzialmente sempre più rilevante”; “E’ opportuno il ritiro delle sanzioni imposte alla Russia, da riabilitarsi come interlocutore strategico al fine della risoluzione delle crisi regionali”; “Non costituendo la Russia una minaccia militare, ma un potenziale partner per la Nato e per l'Ue...”.

Oltre ai nuovi rapporti con Putin, nella politica estera della maggioranza pentaleghista non c’è altro (a parte la riforma del voto della circoscrizione estero, che comunque è una questione interna). 

 

Fisco e Flat tax

La prima cosa da evidenziare della “flat tax” in salsa pentaleghista è che non è flat. La tassa piatta ha per definizione una sola aliquota, quella di Di Maio e Salvini ne ha due, una a testa. “Il nuovo regime fiscale – c’è scritto – si caratterizza come segue: due aliquote fisse al 15 per cento e al 20 per cento per persone fisiche, partite Iva, imprese e famiglie”. Secondariamente, introducendo due aliquote anche per le imprese, la “non-flat tax” giallo-verde introduce la progressività

Con questa “flat tax” avremo oltre a due aliquote anche due regimi tributari. I costi non sono indicati. Molti economisti hanno stimato un buco di circa 50 miliardi di euro sull’Irpef, ma nessuno ha notato che la riduzione delle aliquote riguarda anche l’Ires, con un conseguente impatto per circa 10 miliardi

anche dove la tassazione era già piatta (Ires). Terzo, non sono indicati gli scaglioni. Quarto, essendo applicata sul reddito familiare anziché individuale, la nuova Irpef penalizza le coppie rispetto ai single (una tassa sulla famiglia). Quinto, come accade per ogni riforma, può danneggiare alcuni contribuenti. Ma qui scatta il colpo di genio: per “non arrecare alcun trattamento fiscale penalizzante” sarebbe prevista una clausola di salvaguardia per consentire a chi lo desidera di continuare a usare l’attuale regime fiscale. Così con questa “flat tax” in stile Maxibon – two is meglio che one – avremo oltre a due aliquote anche due regimi tributari. I costi non sono indicati, tanto comunque sarà finanziata in deficit. Molti economisti, a partire da Carlo Cottarelli – il nuovo presidente del Consiglio incaricato da Sergio Mattarella –, hanno stimato un buco di circa 50 miliardi di euro sull’Irpef, ma nessuno ha notato che la riduzione delle aliquote riguarda anche l’Ires, con un conseguente impatto per circa 10 miliardi (senza considerare l’implicito incentivo alle imprese a spezzettarsi, acuendo ulteriormente i problemi legati alle piccole dimensioni, per evitare l’aliquota marginale). Altri due punti rilevanti sono la “pace fiscale” (guai a chiamarlo condono!) e l’emissione di “titoli di stato di piccolo taglio” da usare come moneta parallela (una mossa che anticipa l’uscita, o la cacciata, dall’euro).

 

Giustizia e sicurezza

Sul fronte giustizia ci sono un paio di punti interessanti. Il primo è una riforma del sistema di elezione del Csm “tale da rimuovere le attuali logiche spartitorie e correntizie”: l’intenzione è buona ma non c’è una descrizione di come farlo. Il secondo punto riguarda quella che potremmo chiamare norma anti-Emiliano: “Il magistrato che vorrà intraprendere una carriera politica deve essere consapevole del fatto che, una volta eletto, non potrà tornare a vestire la toga”. Il resto del programma è tutto un rafforzamento delle pene, riduzione delle garanzie e ampliamento delle fattispecie di reato. Non a caso si basa sull’aumento del numero di tribunali (riaprire quelli piccoli chiusi dalla riforma Monti per “riportare tribunali, procure e uffici del giudice di pace vicino ai cittadini e alle imprese”), delle carceri e del rispettivo personale. Ci saranno più cause, soprattutto penali, e più persone che per più tempo andranno in galera: abolizione del rito abbreviato per reati gravi, inasprimento delle pene per vari reati, imputabilità ed esecuzione della pena per i minorenni, “riforma della prescrizione” (il M5s punta all’abolizione dal rinvio a giudizio), abrogazione della recente depenalizzazione dei reati lievi, innalzamento delle pene per i reati contro la Pa, eliminazione degli sconti di pena, introduzione dell’“agente provocatore” nei casi di presunta corruzione. Questi provvedimenti farebbero aumentare del 20 per cento la popolazione carceraria (da 58 a 70 mila detenuti), con la necessità di costruire almeno una settantina di nuove carceri e una maggiore spesa di circa 600 milioni di euro l’anno.
In questo potenziamento del sistema e dell’apparato repressivo le misure giustizialiste del M5s e quelle securitarie della Lega si integrano alla perfezione. I contenuti della sezione sulla sicurezza sono pienamente in linea con l’idea di fondo che permea l’intero documento: gettare soldi in faccia ai problemi: “Relativamente alle Forze dell’ordine è necessario aumentare i fondi a disposizione del comparto per prevedere il potenziamento degli organici”; per i vigili del fuoco “proponiamo la stabilizzazione dei rapporti di lavoro, il potenziamento della formazione e l’adeguamento delle retribuzioni”; “contratto collettivo” per la polizia locale e “scomputare le spese relative dai vincoli di bilancio” (leggi: investimenti produttivi).

 

Immigrazione

L’immigrazione è il tema su cui la Lega ha raccolto gran parte dei consensi e che sarà gestito direttamente da Matteo Salvini, attraverso le tre R: reclusione, ricollocamento e rimpatrio. Il primo punto è il più impegnativo: “Occorre prevedere l’individuazione di sedi di permanenza temporanea finalizzate al rimpatrio con una capienza sufficiente per tutti gli immigrati irregolari, garantendo la tutela dei diritti umani. A oggi sarebbero circa 500 mila i migranti irregolari presenti sul nostro territorio”. Mezzo milione di persone sono tantissime. Per fare un confronto basta considerare che, secondo i dati del ministero della Giustizia, la popolazione carceraria è di 58 mila detenuti in 190 istituti con una capienza complessiva di 50 mila persone e un costo di circa 3 miliardi di euro. Si tratterebbe quindi di moltiplicare tutto per dieci: costruire 1.900 istituti per detenere 500 mila persone. I costi di gestione sono inferiori a quelli di un carcere, ma anche facendo riferimento al costo medio dei Cie si parla di circa 30 euro al giorno per persona: vuol dire circa 5,5 miliardi l’anno.

I rimpatri sono ancora più complicati: in Italia coinvolgono 5-6 mila stranieri l’anno sui circa 30 mila che ricevono il foglio di via (dati Eurostat). E sono costosi, in media Frontex spende 5.800 euro per ogni rimpatrio. Un’operazione di reclusione e rimpatrio di massa, oltre alle enormi difficoltà logistiche e organizzative, costerebbe decine di miliardi di euro. “I rimpatri non li facciamo non solo perché costano – dice Matteo Villa, ricercatore Ispi – ma perché non abbiamo accordi che funzionino con i paesi dell’Africa subsahariana”. Il ricollocamento automatico dei richiedenti asilo tra gli stati dell’Ue passa dal “superamento del regolamento di Dublino”, su cui tutti sono d’accordo. Ma la riforma di Dublino, che dipende da un accordo in sede europea, può essere un boomerang: dai negoziati infatti potrebbe emergere un parere favorevole sulla redistribuzione dei richiedenti asilo insieme a una stretta sui migranti economici che in maniera informale fuoriescono dall’Italia.

 

“La non-flat tax (le aliquote sono due). La stretta sulla giustizia con la riduzione delle garanzie. Reclusione, ricollocamento e rimpatrio per gli immigrati irregolari. la proibitiva controriforma pensionistica e il reddito di cittadinanza. Un fiorire di spese per la scuola. Il bilancio Ue che dovrà essere “coerente” con il contratto giallo-verde” 

 

Lavoro

Nonostante il lavoro sia stato uno dei principali fronti polemici delle due forze di maggioranza durante la campagna elettorale, il relativo capitolo del programma sembra insolitamente moderato. Propone l’introduzione di un salario minimo – una misura invocata anche dal Partito democratico – con l’esclusione però delle categorie professionali coperte dalla contrattazione collettiva. Parla poi della riduzione del cuneo fiscale, anche in questo caso in continuità con i governi Renzi e Gentiloni, e di semplificazione burocratica.

M5s e Lega riconoscono che la cancellazione dei voucher è stata un errore, in quanto rischia di far sfociare una parte del lavoro accessorio nel sommerso. Ne chiedono pertanto la reintroduzione in forma digitale e tracciabile, ripristinando il quadro normativo frettolosamente cassato sotto la pressione della Cgil e delle allora opposizioni. Infine, ammette l’importanza delle politiche attive – che rappresentano il cuore del Jobs Act – e anzi ne prefigura un potenziamento. Idem per la formazione dei lavoratori durante le transizioni professionali e gli istituti tecnici superiori. Questo è forse il caso in cui la distanza tra la retorica elettorale e il programma di governo è massima – ed è un bene, visto che tra le riforme della scorsa legislatura il Jobs Act è la più incisiva e profonda.

 

Pensioni e reddito di cittadinanza

Abolizione della riforma Fornero e “reddito di cittadinanza” li mettiamo insieme perché sono, in un certo senso, il reddito di cittadinanza del nord e del sud, rispettivamente. La controriforma pensionistica è l’unica misura su cui il “contratto” di Di Maio e Salvini quantifica il costo: 5 miliardi. Però sbaglia. Secondo le stime del presidente dell’Inps, Tito Boeri, l’introduzione della “Quota 100” inizialmente coinvolgerebbe 750 mila persone per un costo di circa 15 miliardi, ma con il passare del tempo si salirebbe a oltre 1 milione di pensionati in più e oltre 20 miliardi. Sulla spesa previdenziale è previsto il taglio delle “pensioni d’oro” oltre i 5 mila euro netti mensili. Non solo si tratta di appena un centinaio di milioni di euro, ma la riduzione dell’assegno pensionistico verrebbe più che compensata dall’introduzione della “flat tax” (nel programma pentaleghista ce n’è per tutti, conviene pure ai “pensionati d’oro”). Le risorse impiegate per rivedere la legge Fornero andrebbero in gran parte al nord dove si concentrano i lavoratori con carriere lunghe e stabili. In maniera speculare il reddito di cittadinanza del M5s – rivolto ai disoccupati, agli inattivi e alle persone a basso reddito (inclusi i pensionati) – è destinato principalmente al sud: fino a 780 euro a persona, in cambio della disponibilità a non rifiutare più di tre offerte di lavoro in linea con il curriculum, ben retribuite e non lontane da casa. In questo caso, forse per non sbagliare, non è indicato il costo complessivo. Le precedenti stime del M5s parlano di 15 miliardi l’anno, mentre per gli economisti che hanno fatto i conti i miliardi sono tra i 30 e i 35. Ma in fondo per la coalizione giallo-verde non è un grande problema, visto che in ogni caso il tutto sarà finanziato in deficit. Al di là delle coperture assenti, ciò che nessuno sembra aver preso in considerazione sono gli effetti dinamici sul mercato del lavoro: il rischio di una trappola della povertà, l’incentivo a cercare occupazioni in nero e a rifiutare lavori part-time, faticosi o lontani da casa.

 

Riforme istituzionali

Sulle riforme istituzionali, terreno su cui il fronte giallo-verde ha trionfato nella battaglia referendaria del 4 dicembre 2016, ci sono poche cose: la riduzione del numero dei parlamentari (si scende a 400 deputati e 200 senatori), l’abolizione del Cnel, l’eliminazione del quorum nei referendum abrogativi, l’allentamento dell’articolo 81 sull’equilibrio di bilancio (che in realtà da quando è stato introdotto nella nuova formula non ha mai assicurato il pareggio di bilancio). Un punto rilevante è quello che riguarda l’introduzione di “forme di vincolo di mandato per i parlamentari, per contrastare il sempre

Secondo le stime del presidente dell’Inps, Tito Boeri, l’introduzione della “Quota 100” per le pensioni inizialmente coinvolgerebbe 750 mila persone per un costo di circa 15 miliardi. Un punto rilevante riguarda l’introduzione di “forme di vincolo di mandato per i parlamentari”. Piste ciclabili come se piovesse

crescente fenomeno del trasformismo”, usando come riferimento “l’articolo 160 della Costituzione portoghese”. Intanto una considerazione tecnica: neppure in Portogallo esiste un “vincolo di mandato”, il deputato può votare in difformità dal proprio partito e anche uscire per passare al gruppo misto. Semplicemente non può iscriversi in un altro gruppo parlamentare. Poi un’osservazione storica. Non è un caso che in Europa solo il Portogallo abbia nella Costituzione un articolo del genere, è la conseguenza della specifica situazione politica del paese dopo la rivoluzione dei Garofani. “Il processo che condusse all’elezione dell’Assemblea costituente e alla redazione dell’attuale Carta costituzionale – scrive Giovanni Damele dell’Universidade Nova di Lisbona – si configurò come un dialogo tra i partiti e il Movimento delle Forze armate, responsabile del golpe del 25 aprile del 1974 che sancì la fine del regime salazarista”. Quell’articolo, come altri, è il frutto di un patto tra le forze politiche e i militari di sinistra che volevano un sistema basato sul protagonismo dei partiti. Sembrerebbe una contraddizione il fatto che il movimento nato per distruggere i vecchi partiti sia portatore di una visione così partitocratica della politica e del Parlamento, ma non c’è nulla di strano. E’ perfettamente coerente con la struttura centralista di Lega e M5s e l’istituzione, con il “contratto di governo”, di organi extra-costituzionali come il “comitato di conciliazione” che rappresentano il trionfo della partitocrazia sulla democrazia.

 

Sanità, scuola, sport, università

In tutti questi settori, la parola d’ordine è una sola, categorica e imperativa per tutti: assumere! Sebbene ci siano, in alcuni casi, ipotesi di riforma, l’interpretazione dei problemi riscontrati nella qualità dei servizi pubblici è perlopiù semplicistica: il personale è insufficiente e pagato poco. Non viene messa in discussione l’organizzazione dei servizi e tanto meno il ruolo dello stato, ma è tutto un fiorire di nuove assunzioni, stabilizzazione dei precari e risorse aggiuntive.

Alcuni interventi vengono comunque ipotizzati, e in genere sembrano orientati a una sorta di controriforma rispetto ai pur timidi passi avanti degli scorsi anni. In tema di sanità, la principale preoccupazione sembra essere quella di rivedere le procedure di nomina dei dirigenti, naturalmente per impedirne la lottizzazione partitica. Inoltre si chiede di ridurre la compartecipazione dei cittadini alla spesa sanitaria: una misura potenzialmente regressiva (perché le famiglie meno benestanti ne sono generalmente esentate) e deresponsabilizzante (l’obbligo di un pagamento, anche minimo, serve a limitare abusi e sprechi). La proposta più apprezzabile, almeno in principio, è quella di una maggiore trasparenza sul rapporto tra i costi delle strutture e i risultati clinici. Quella più bizzarra consiste nel garantire la rappresentanza dei pazienti (“diretta o dei familiari”) ai “vertici gestionali delle strutture assistenziali dedicate all’età avanzata”. Chissà se Nonno Simpson sarà un buon manager dell’ospizio.

Sulla scuola, il programma è onesto nel chiarire che il soggetto centrale non è lo studente ma il docente: occorre tenere conto “del legame dei docenti col loro territorio, affrontando all’origine il problema dei trasferimenti”. Non è chiaro se tale questione sarà risolta spostando gli studenti o consentendo le lezioni via Skype. La scure grilloleghista cala su una delle principali innovazioni della Buona Scuola, cioè la chiamata diretta dei docenti da parte dei dirigenti scolastici. Il programma è fortunatamente cauto sull’alternanza scuola lavoro, che viene giudicata inefficace ma non, apparentemente, messa in discussione. E’ apprezzabile il richiamo sui disabili, anche se non dice granché di originale.

 

Per quanto riguarda lo sport, la soluzione sembra derivare (ancora una volta) da maggiori fondi e dalla riforma del Coni, che curiosamente viene esposta con un grado di dettaglio non riscontrabile in altri capitoli evidentemente meno importanti (tipo quello sulla finanza pubblica).

 

Anche per l’università e la ricerca la risposta ai problemi sembra venire unicamente dai maggiori fondi (in questo caso con qualche ragione). Desta preoccupazione, però, la minaccia di ripensare il sistema di valutazione della qualità della ricerca. Certamente l’operato dell’Anvur può essere migliorato, ma l’ipotesi di farlo attraverso il coinvolgimento del Consiglio universitario nazionale sembra alludere a una minore rilevanza dei criteri bibliometrici e una maggiore sensibilità alle esigenze corporative delle rappresentanze dei professori. Ed è un peccato, perché il programma parla anche di promuovere l’innovazione dentro l’accademia: ottima idea, che però presuppone un approccio più meritocratico e meno aumma-aumma.

 

Trasporti, infrastrutture e telecomunicazioni

Come in altri capitoli, non c’è questione che – secondo gli estensori del contratto – non possa non essere affrontata a suon di contributi pubblici. Anzi, ci sono contributi pubblici in cerca di problemi da risolvere. La delicata questione della mobilità si riduce ai finanziamenti per l’acquisto di veicoli elettrici e di altre vetture “a bassissime emissioni”. Il car sharing dovrà essere promosso ma solo a fronte di una crescente presenza di auto elettriche. Piste ciclabili come se piovesse.

Fumo a parte, tra le pagine del programma si nasconde anche un po’ di arrosto infrastrutturale. Per esempio, parlando dei limiti e delle prospettive del nostro sistema portuale, il contratto sottolinea che “senza un’adeguata rete di trasporto ad alta capacità non potremmo [sic] mai vedere riconosciuto il nostro ruolo di leader della logistica in Europa e nel Mediterraneo… è necessario inoltre favorire lo switch intermodale da gomma a ferro nel trasporto merci investendo nel collegamento ferroviario dei porti italiani”: forse, mentre con la sinistra i contraenti cancellano la Tav, con la destra stanno ripristinando il Terzo Valico?

Non manca l’ammodernamento delle linee ferroviarie, a cui si accompagna un criptico impegno a “recuperare risorse attraverso una politica tariffaria basata sull’analisi del rapporto tra costi e benefici”: potrebbe significare prezzi maggiormente aderenti ai costi (cioè più alti), oppure potrebbe non significare nulla. Il trasporto pubblico locale non è citato, mentre l’unico aspetto ritenuto rilevante nel campo delle telecomunicazioni sembra essere la gestione della Rai (naturalmente per eliminarne – non ridete – la lottizzazione).

 

Unione europea

Il capitolo sull’Unione europea è quello nel quale la creatività di Di Maio e Salvini si è spinta verso l’infinito e oltre. Di conseguenza, è anche quello che causerà i maggiori imbarazzi teorici e i minori grattacapi concreti al presidente Conte. Si propone, tra l’altro, di “fissare le linee di governo della domanda e dell’offerta globale”, di riformare la Banca centrale europea (spoiler: Mario, dacce li sordi!), e più in generale di restringere la concorrenza e l’integrazione europea in tutti i casi in cui essa possa danneggiare qualche produttore italiano. Anche qui, taluni propositi (“vanno debellati i fenomeni di dumping all’interno dell’Unione”) trovano consonanza negli interventi del governo uscente, che già sembravano mettere in discussione il senso stesso del mercato unico, in particolare in relazione ai fenomeni di delocalizzazione. Se comunque queste intenzioni sono segnate da una certa evanescenza, c’è un impegno assai circostanziato che i partner europei difficilmente potranno eludere: “Sotto il profilo del bilancio Ue e in vista della programmazione settennale imminente occorre ridiscuterlo con l’obiettivo di renderlo coerente con il presente contratto di governo”. In pratica Conte, Di Maio e Salvini andranno a Bruxelles e sbatteranno il contratto sul tavolo: “Noi abbiamo messo solo le parole. Voi studiatevelo, mettete i numeri, i soldi e fate tornare i conti”.