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Cdp servitore di due padroni con il grosso limite di Alitalia

Alberto Brambilla

Il pres. Costamagna rinuncia al secondo mandato. Ma l’eredità statalista dell’ex Goldman-boy sprona il governo gialloverde

Roma. Prima di annunciare nel pomeriggio con un comunicato la sua indisponibilità a presiedere per un secondo mandato la Cassa depositi e prestiti, Claudio Costamagna, aveva anticipato la decisione alle prime linee in mattinata. La decisione di sfilarsi è da leggere come una rinuncia volontaria prima che i partiti di governo Lega e Movimento 5 stelle avallino la sua sostituzione. Prima della formazione del governo giallo-verde la settimana scorsa Costamagna una riconferma poteva avvenire con buone probabilità dopo tre anni al vertice.

 

D’altronde nell’ultimo periodo l’ex banchiere di Goldman Sachs, prestato al settore pubblico, aveva cercato di mettersi al vento del cambiamento avallando operazioni borderline per un investitore di lungo termine come la Cdp che si era fino ad allora tenuto lontano da guerre finanziarie e soccorsi aziendali al limite. Dopo avere comprato il 5 per cento delle azioni di Tim, la Cdp è stata decisiva nella recente battaglia per il ricambio del cda della compagnia telefonica offrendo appoggio al fondo attivista Elliott in opposizione al primo azionista Vivendi. Una mossa che ha segnato il ritorno dello stato in Tim a vent’anni dalla privatizzazione. Costamagna probabilmente cercava una riconferma con l’operazione in Tim in ossequio al sentimento anti francese che accomunava il governo Gentiloni e i partiti sovranisti usciti vincitori dalle elezioni. Il 5 maggio, giorno dell’assemblea Tim in cui Elliott ha battuto Vivendi grazie ai voti di Cdp, Giuseppe Guzzetti uscì con una sibillina dichiarazione che fece intravedere a molti la riconferma del banchiere di sua conoscenza (nel 1998 quando la sua Cariplo si fuse con l’Ambroveneto fu Costamagna a fare da consigliere). A leggere bene le sue parole in realtà Guzzetti – che in quanto capo delle Fondazioni azioniste di Cdp nomina il presidente – aveva raggiunto nuove vette di mandarinismo democristiano: aveva detto che se il Tesoro avesse confermato i vertici – quindi l’ad che è di nomina governativa – Costamagna avrebbe avuto un altro incarico. Ma siccome l’ad, Fabio Gallia, era dato già in uscita, quello di Guzzetti era un benservito mascherato da carezza. A tal proposito si nota un passaggio irrituale nel comunicato della rinuncia, in cui il presidente Costamagna augura buon lavoro al “nuovo ad”.

 

Ora la partita entra nel vivo: il 16 giugno verranno presentate le liste per il cda mentre il 20 si terrà l’assemblea di Cdp in prima convocazione. Come sostituto di Costamagna è quotato Massimo Tononi, nel cda di Quaestio, la sgr che gestisce parte delle risorse di Cariplo di Guzzetti. Per l’incarico di ad circolano i nomi di Dario Scannapieco, vicepresidente della Banca europea per gli investimenti, Fabrizio Palermo, ora è cfo di Cdp e siede nel cda di Open Fiber, nonché già dg di Fincantieri, e Flavio Valeri, ad Deutsche Bank Italia.

 

Costamagna ha aperto alla possibilità che la Cdp si infili in altre operazioni controverse sulla stessa lunghezza d’onda del governo Lega-M5s. Il M5s ambisce a fare della Cdp una banca pubblica a sostegno delle pmi. Le intenzioni della Lega non sono chiare. La presenza nel cda di Cdp, dal 2013 all’aprile scorso, di Massimo Garavaglia, consigliere economico della Lega, convince che i leghisti sappiano bene che l’Istituto non può soccorrere aziende in perdita.

 

A marzo, Costamagna, all’epoca in cerca di un reincarico, aveva detto che Cdp era pronta a “fare la sua parte” in Alitalia. Nel 2013 gli ex vertici, Bassanini e Gorno Tempini, minacciarono le dimissioni pur di non intervenire nella compagnia da salvare. M5s e Lega pensano che un vettore tricolore sia strategico per il turismo e potrebbero insistere visto che proprio l’ex presidente di Cdp, uomo di mercato che si è lasciato lusingare dal capitalismo di stato, aveva aperto uno spiraglio. Ogni ulteriore aiuto pubblico sarà osservato attentamente a Bruxelles, forse più di un’improbabile uscita dall’euro.

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  • Alberto Brambilla
  • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.