Scacchetti ci spiega perché la Cgil boccia il reddito di cittadinanza

Valerio Valentini

“È iniquo e inefficace”, dice la segretaria confederale. “Il governo non fa nulla per l’occupazione. Un referendum? Vedremo”

Roma. Escluderlo, non lo esclude a priori. “Ma prima di lanciare una campagna referendaria, è doveroso coinvolgere la nostra base, consultare le nostre strutture”. Insomma, è presto per dirlo. “Quel che è certo è che ci faremo sentire, che la mobilitazione ci sarà”, dice Tania Scacchetti, voce autorevole della segreteria confederale della Cgil, la stessa dove siedono anche Vincenzo Colla e Maurizio Landini, i due candidati alla successione di Susanna Camusso. Il congresso ci sarà la prossima settima, ed è evidente che solo dopo quella scadenza il sindacato rosso deciderà, eventualmente, le forme e i modi della protesta contro il governo, compresa l’eventuale partecipazione alla raccolta di firme per un referendum abrogativo del reddito di cittadinanza, come proposto dal Foglio.

 

    

“In ogni caso – spiega Scacchetti – ciò che pensiamo di questa misura lo abbiamo già detto”. E’ successo sabato scorso, con un comunicato ufficiale arrivato a sentenziare una inequivocabile bocciatura. “Del reddito di cittadinanza, certo, e più in generale delle ricette economiche del governo. La nostra contrarietà a questo provvedimento è dovuta infatti a una critica profonda, più complessiva, a una legge di Bilancio che non stanzia le coperture adeguate per tutelare il welfare e per finanziare investimenti produttivi, e che insomma non stimola occupazione e crescita”.

 


Tania Scacchetti (foto via Cgil.it)


      

Poi, però, c’è una contrarietà nel merito al reddito di cittadinanza. “Una misura sbagliata perché risponde a un’ottica prettamente lavoristica. Si dà per scontato che basta trovare un lavoro per uscire da una situazione di disagio. Un lavoro purché sia, tra l’altro, se è vero che gli unici criteri di congruità su cui il governo si sofferma sono quelli che riguardano la distanza in termini di chilometri e quella in termini di tempo. Un po’ avvilente, come prospettiva, oltreché punitiva per i beneficiari. Ma insomma, che tipo di lavoro stiamo incentivando, così? Da un lato si dice di voler combattere la precarietà, e dall’altro nella manovra non si inserisce alcuna misura per premiare il lavoro di qualità. Neppure nella bozza del reddito c’è chiarezza su questo aspetto”.

 

Si rischia dunque di considerare come “congrua” anche un’offerta di lavoro stagionale e mal retribuito? “Vedremo quale sarà la versione definitiva. Al momento il rischio c’è. Così come mi pare ci sia un problema enorme rispetto alla scarsità di dotazioni infrastrutturali dei centri per l’impiego. Si parla di una unificazione delle piattaforme digitali: un’impresa che non è stato possibile concludere in quattro anni, ci si illude ora di risolverla in tre mesi. Che tipo di accoglienza diamo ai disoccupati? Che tipo di servizi?”. Ci penseranno i navigator. “Altra incognita, al momento. Senza contare che, poi, il problema del reddito di cittadinanza è più generale, e consiste nel fatto che non prevede adeguate misure per combattere la povertà nella sua multidimensionalità: a una mamma sola con tre figli non basta certo trovare un lavoro. Bisogna attivarsi, in questi casi, con le strutture dei servizi sociali, quelle che fanno per lo più capo ai comuni. Nel Reddito di inclusione (ReI) del precedente governo, c’era una adeguata attenzione riservata a queste strutture, non c’erano però risorse sufficienti. Sarebbe stato molto più utile, ora, ripartire da lì e aumentare i finanziamenti e dunque la platea”.

      

Ci sono poi, dice Scacchetti, “problemi connessi alla scarsa attenzione riservata a famiglie numerose e con minori, oltreché alla evidente discriminazione nei confronti dei cittadini stranieri. Il requisito dei dieci anni di residenza sul territorio italiano è certamente iniquo, e probabilmente anche incostituzionale”. E non basta. “No, ci sono altri due aspetti critici. Il primo: gli sgravi fiscali alle imprese che assumono i beneficiari. E’ la solita logica degli incentivi a breve termine, che si sono già dimostrati inefficaci al rilancio dell’occupazione stabile nel medio e lungo periodo. E poi c’è l’obbligo delle otto ore di servizi da rendere ai comuni di residenza. Un requisito che responsabilizza il cittadino, si dice. E va bene. Ma è anche uno strumento che introduce il rischio di lavoro gratuito, e dunque di compressione dei salari e dei diritti: se un sindaco ha a disposizione una persona che svolge certi servizi di fatto a gratis, perché dovrebbe rivolgersi a personale più qualificato? Si finirebbe con una contrattazione al ribasso, e non sarebbe accettabile”.

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