Gli anni amari

Di Andrea Adriatico, con Mario Mieli, con Nicola Di Benedetto, Sandra Ceccarelli, Antonio Catania

Mariarosa Mancuso

Questo è nuovo nuovo, in streaming non c’è mai andato. Semplice constatazione, non pensiamo che lo streaming abbia mai danneggiato un film. E’ solo un’opzione in più da sfruttare, che ci ha salvato quando le sale erano chiuse. E anche adesso che le sale sono aperte ma i film che avrebbero dovuto rilanciare la stagione – “Tenet” di Christopher Nolan e la versione live action di “Mulan”, per dirne un paio – non usciranno prima di metà agosto. Intanto, penitenza. Con tante scuse a Mario Mieli, incolpevole protagonista di “Gli anni amari”. Amava vestirsi da donna, magari con un filo di perle. Era di ottima famiglia (setaioli sul lago di Como: chi ha scelto, imparruccato e truccato per il ruolo Antonio Catania non deve aver mai visto un industriale del nord Italia, negli anni 70 quando Mario Mieli comincia a farsi notare). A Londra per imparare l’inglese, aveva fatto amicizia con i movimenti omosessuali, attivissimi dopo la retata dei gay americani Stonewall. Milano non era tanto avanti: c’era il Fuori!, abbandonato da Mario Mieli e dai suoi fedelissimi dopo l’alleanza con il Partito radicale. C’era il Festival del proletariato giovanile al Parco Lambro, dove il nostro lanciò lo slogan “Lotta dura, contronatura”.

 

I tempi, diciamo così, non erano maturi. L’anno dopo, era il 1977, Einaudi gli pubblicò la tesi di laurea, “Elementi di critica omosessuale”. Non in una collanina di pamphlet, nei saggi con la cornice arancione (sono le contraddizioni degli anni 70). Un personaggio interessante, che nel film pare una macchietta. Scende da una Citroen DS (la déesse a cui Roland Barthes aveva dedicato un saggio in “Miti d’oggi”), si fa chiamare Maria, dichiara “basta essere favolose”, e rivendica la sua discendenza dai Faraoni. Nell’insensatezza finisce anche il povero Wittgenstein a cui viene attribuita la frase “il mondo è bello perché è vario”. Partecipazione speciale di Ivan Cattaneo e di Angelo Pezzana (anche loro truccati come capita). Finale triste, ma il pubblico di riferimento già lo sa. E può risparmiarsi certi siparietti che nulla aggiungono a un personaggio irritante con sprazzi di lucidità.

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