Alfonso Bonafede (foto LaPresse)

C'era una svolta

Guido Vitiello

La trionfalistica scempiaggine di Bonafede sul carcere chiosata con padre Bartolomeo Sorge e Leonardo Sciascia

Se fosse una favola, miei piccoli lettori, comincerebbe così: c’era una svolta. “Il carcere è una svolta culturale” (Alfonso Bonafede, Corriere della Sera, 23 ottobre 2019); “La svolta avvenne nel 1987 con la nascita della giunta amministrativa guidata da Leoluca Orlando” (padre Bartolomeo Sorge, “Perché il populismo fa male al popolo”, con Chiara Tintori, Edizioni Terra Santa, 2019). In apparenza, tra le due frasi non c’è rapporto: il gesuita sta solo rivendicando quel che di buono, secondo lui, c’era nella cosiddetta Primavera di Palermo. Ma diventa la chiosa perfetta della trionfalistica scempiaggine di Bonafede se la chiosiamo a sua volta con un’altra chiosa. Dal Corriere della Sera del 26 gennaio 1987 (l’anno della svolta, appunto): “Se al simbolo della bilancia si sostituisse quello delle manette – come alcuni fanatici dell’antimafia in cuor loro desiderano – saremmo perduti irrimediabilmente, come nemmeno il fascismo c’è riuscito. (…) Siamo di fronte, secondo l’invalso uso di chiamare cultura l’incultura, a una ‘cultura delle manette’? E non c’è da temere che tale ‘cultura’ si sia già insinuata nei luoghi che più decisamente dovrebbero respingerla: nella magistratura, nel giornalismo? E’ evidente che la ‘cultura delle manette’ è promossa dalla preesistente ‘cultura dell’indiscrezione’ stabilitasi tra certi uffici giudiziari e i giornalisti”. Così Leonardo Sciascia, che molto si appassionò alla storia dell’eretico che nel 1657, a Palermo, uccise il suo inquisitore. A colpi di manette.