Ora anche a Roma ci sono giudici che danno ragione ai Riva

Annarita Digiorgio

La Cassazione annulla una confisca di immobili. Una serie di assoluzioni per la famiglia espropriata dell’Ilva per via giudiziaria

Taranto. La Corte di Cassazione ha annullato la confisca su gli immobili intestati ai figli di Fabio Riva, o meglio alle società da loro possedute al 99 per cento e proprietarie degli immobili a Milano sottoposti a confisca. Con la sentenza depositata l’altroieri la Cassazione ha annullato la misura cautelare reale legata alla condanna del padre Fabio per un’ipotetica truffa ai danni dello stato per circa 100 milioni di euro di contributi pubblici all’esportazione. La Cassazione, sia per i tempi sia per i modi, ha ritenuto giustificata – in base a quanto normalmente accade nei rapporti tra padri e figli – la creazione di due persone giuridiche possedute dal padre solo all’1 per cento e ognuna con un patrimonio di un immobile intestato ai figli solo in nuda proprietà. Per la Cassazione, mantenendo l’usufrutto a vita su tali beni Riva non avrebbe creato un’intestazione fittizia a favore dei figli, ma avrebbe fatto un’operazione di gestione del patrimonio immobiliare familiare totalmente legittima. Come accade per tante famiglie benestanti, appunto. Ma se una “operazione” di normale gestione familiare è stata compiuta dalla famiglia Riva, in automatico può diventare frutto di delitto.

 

Eppure si susseguono una dopo l’altra in questi ultimi mesi le sentenze di assoluzione che a loro volta condannano il perseguimento giudiziario ed economico ai danni di questa famiglia di industriali. “A piccoli passi la verità sta venendo alla luce. Dopo aver letto le motivazioni della sentenza definitiva nelle quali c’è chiaramente scritto che ‘il fatto non sussiste’ e quelle della recente sentenza che in primo grado di giudizio ha assolto i Riva dall’accusa di bancarotta perché ‘avevano ben gestito la società, investendo miliardi di euro per ambiente e ammodernamento degli impianti’ – aveva detto Alessandro Banzato, presidente di Federacciai, dopo la sentenza della Cassazione sull’assoluzione definitiva dei Riva per le morti di amianto in Ilva (ricadute sulla precedente gestione pubblica) – il primo pensiero che mi viene è questo e lo esprimo con una certa soddisfazione sia in qualità di imprenditore italiano che di rappresentante di un settore spesso percepito in maniera distorta dall’opinione pubblica”.

 

La sentenza definitiva di assoluzione sulle morti di amianto era arrivata dopo l’altra, del Tribunale di Milano, che lo scorso luglio aveva assolto Fabio Riva dall’imputazione di bancarotta fraudolenta per il dissesto del gruppo siderurgico. Come scritto nella sentenza che ha smontato l’accusa di depauperamento generale della struttura, i Riva avevano effettuato notevoli investimenti ambientali e di ammodernamento. Il Gup ha stabilito che Riva non ha affatto omesso di sostenere i costi per l’adeguamento tecnologico-ambientale dello stabilimento di Taranto, per il quale aveva invece sostenuto una spesa complessiva di 4 miliardi e 650 milioni di euro; che lo stabilimento di Taranto osservava, nel 2010-11, i limiti emissivi previsti dalle leggi europee, nazionali e regionali; che la società aveva implementato alla fine del 2010 tutti gli interventi ambientali di adeguamento alle migliori tecniche al tempo disponibili; che la società aveva in gran parte anticipato, già nel 2011, le Bat di seconda generazione che sarebbero entrate in vigore nel 2018.

 

Ovviamente la procura di Taranto ha già impugnato l’assoluzione di Milano, ricorrendo in appello. Esattamente come aveva fatto per la sentenza sulle morti di amianto, per cui i Riva dopo l’appello impugnato dalla procura, hanno avuto assoluzione definitiva anche in Cassazione. Quando tutti i processi intentato ai Riva – che hanno portato all’esproprio di fatto della più grande industria manifatturiera d’Europa per lasciarla morire nelle mani dello stato – e tutte le assoluzioni saranno arrivate al terzo grado di giudizio, alla famiglia Riva rimarrà ancora un grado superiore: la Cedu. E allora sarà molto probabile che in nome dei diritti umani dovremo restituirle l’ Ilva con gli interessi. Sempre che nel frattempo lo stato non l’avrà ridotta ad allevamento di cozze.

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